“Sono entrato per la prima volta in una cucina per sbaglio. Ero lì come lavapiatti, l’ultima cosa in vita mia a cui pensavo erano i fornelli. Ero un ragazzo che aveva in testa due soli ingredienti: le ragazze e le feste…”. Ride di giusto. Ferràn Adrìa si racconta così, accompagnando la parola Chicas con un gran sorriso, ripetendola, divertendosi ad allontanare da sé, con questa ricostruzione, l’aura di mito che lo circonda. Ottiene ovviamente l’effetto opposto. Ferràn è uno dei cuochi più famosi del mondo. E’ il padre della cosiddetta “cucina destrutturata”. E’ l’uomo che ha trasformato un classico come il prosciutto e melone in un piatto sofisticato da bere in un calice. E’ il cuoco che ha introdotto nelle sue ricette procedimenti di raffinata tecnologia d’avanguardia come la “sferizzazione”, le “decostruzioni” o le “cotture” glacializzanti nell’azoto liquido.
Il suo ristorante, “El Bulli” è un angolo idilliaco incastonato a Cala Montjoi una splendida e isolata baia bagnata dal mare vicino alla città di Roses, ai piedi dei Pirenei. Vanta un primato unico. Due milioni di richieste l’anno per 8mila posti disponibili: chi si prenota oggi, si prepara ad esser convocato nel 2011. Sono a pranzo con Ferràn Adrià a Milano, nel ristorante di Bulgari, l’albergo milanese dove si è fermato durante il giro promozionale per il suo libro. Ferràn è uno spagnolo diretto, estroverso, consapevole del proprio carisma, con un stile formale e senza nessuna posa da “maestro”. Ordina champagne rosato e scherza: “lo trovo un ottimo farmaco per il buon umore”. L’intervista inizia commentando il primo piatto che si ritrova davanti: un’insalata di carciofi e bottarga. Il maestro inforchetta, e invece di parlare lui, mi interroga con una punta di ironia: “Come le sembra?”. Non sono preparato e mi spiazza.
Molto semplice, direi.
(Rimprovero ironico.) “Sbaglia…. Le sembra semplice, invece, anche un solo ingrediente, in questo piatto costituisce una ricetta elaborata, un frammento di cultura italiana”.
Ma non ci sono ingredienti, oltre ai carciofi e la bottarga…
(Spalanca gli occhi). “Sbaglia di nuovo! Ce n’è uno, ma decisivo. Le faccio notare che mettere il limone, in Spagna, sarebbe una follìa… Invece, come può verificare da se, è ciò che conferisce a questo piatto tutto quel che gli serve: semplicità ed eleganza”.
Quindi quel limone dovrebbe insegnarmi qualcosa.
“Oh sì.. Che le culture e le tradizioni in fondo sono questo: l’eleganza che diventa senso comune di una terra”.
E’ sicuro che questa storia del lavapiatti, non sia un dettaglio agiografico? Non ce la vedo come aspirante economista.
(Ride di nuovo). “Beh, nemmeno io, se per questo. Sognavo per me un futuro normale, una famiglia normale, un lavoro normale… Tutto quel che è avvenuto dopo i miei vent’anni è opera della fortuna e del destino”.
Fortuna? Lei trovò lavoro giovanissimo a El Bulli, un ristorante che aveva un celebre cuoco e una stella Michelin…
“Un caso. Avevo un amico che ci lavorava e mi aveva chiamato. Un colpo di fortuna…”
Ma dopo soli quattro mesi ne divenne lo chef!
“Un altro caso: il titolare della cucina se ne era andato, lasciandomi tutto in mano”.
Ma dopo pochi anni lei quel locale lo ha comprato, facendone un laboratorio sperimentale di grande innovazione…
“Ed anche questo è stato un colpo di fortuna: i proprietari di quell’angolo di paradiso, negli anni novanta, non avevano figli, accettarono di cederlo a me e al mio socio, Juli Solier”.
Mi sta dicendo che il più grande cuoco del mondo è un economista fallito?
“Questo è indubbio”.
Uno che pensava solo a fare baldoria, e ha avuto solo una buona dose di culo?
(Ride di gusto, inforchettando la bottarga). “Che pensassi alle ragazze e alle feste è innegabile. Che non avessi ancora trovato la ricetta della mia vita è vero. Che sia stato fortunato è un fatto”.
E quando oggi legge che Time la inserisce fra i dieci uomini più influenti del mondo che pensa?
(Un altro lampo di divertimento negli occhi). “Per quanto abbia una buona dose di autostima mi preoccupo. Ma non mi affretto a smentire….”.
Quale è, oltre alla fortuna, l’ingrediente della sua vita?
“Credo di aver avuto del coraggio. E che la fortuna aiuti i coraggiosi. Vuole un altro esempio?”.
Prego.
“Un giorno a El bulli, il libro che la Phaidon, una delle più prestigiose case editrici del mondo ha pubblicato su di me in cinque lingue!”.
Cosa c’è di strano? Lei è consapevole della sua fama.
“Ma io non avrei l’avuto ardire di immaginarmi inserito in una collana riservata agli artisti di avanguardia!”.
E come è andata?
“Ci creda o no, mi hanno cercato loro… E’ stata una soddisfazione enorme”.
Non è preoccupato di aver dovuto inserire nel libro molte delle sue ricette di quest’anno?
“Perché dovrei preoccuparmi?”.
Sta rivelando i suoi copyright segreti per 50 euro a volume….
(Il sorriso di Adrìa si fa trionfante). “Le spiego una cosa di me. Tutto quello che ho fatto nel 2009, nel 2010 è vecchio. Quindi non abbiamo rivelato nessun segreto, ma messo qualcosa agli atti”.
Non è una posa?
“No, è il principio dell’avanguardia nella creatività. Il metodo è: buttare via il vecchio, anche quando è buono, perché non sia di ostacolo alla progettazione del nuovo”.
In Italia è un’idea eversiva.
“Anche in Spagna, mi creda”.
Sia sincero: dividere un menù in quattro “atti” è un capriccio o un’invenzione?
“E’ una conseguenza necessaria della mia idea di fondo: la cucina è uno spettacolo, andare al ristorante equivale a una serata teatro”.
Quando costa una cena a El Bulli?
“Vini a parte il pasto ha un costo fisso: in tutto si spendono 230-250 euro”.
Vista la lista di attesa ha mai pensato di alzare i prezzi?
“Mai. Vede, io ho un grande rispetto del denaro, ma non mi importa molto guadagnarne. Se potessi, lo regalerei…”.
Adesso non le credo.
(Si tocca la camicia) “Invece dovrebbe. Vesto come capita, ho uno stile di vita normale, sono cresciuto un in quartiere popolare, in una normalissima famiglia spagnola…”.
Non è una prova di quello che ha affermato.
“….Non ho figli, non ho altre ambizioni al di fuori della cucina, ho tutto quel che mi serve per vivere. Non me ne frega di arricchirmi, perché non saprei come spenderli, i soldi”.
Come passa i sei mesi dell’anno in cui non prepara ricette perché El Bulli è chiuso?
(Allarga le mani). “A progettare ricette per quando El Bulli è aperto”.
Lei adesso sta girando l’Europa.
(Punta la forchetta verso l’alto) “Ieri, in una piccola osteria di Milano, ho trovato una grande idea per un nuovo piatto”.
Non le interessa – per dire – accumulare capitali per aprire una catena di ristoranti?
“Noohhh… El Bulli è un esperimento unico, e non ripetibile. Non è un negozio. A tutti quelli che mi offrono soldi per creare un clone, rispondo cortesemente di no”.
Ci sono ristoranti meno noti del suo in cui si spende il doppio.
(Calice di champagne, grida indignato). “Quella non è cucina. E’ prostituzione!”.
Allora potrei chiederle anche perché non fa pagare di meno…
(Ride ancora). “Le piace il calcio? Ama l’opera?”
Cosa c’entra?
“Il mio parametro è questo: siccome offro uno spettacolo di livello alto, mi piace pensare che il prezzo della mia cucina sia simile a quello di una finale di coppa, o di una grande prima alla Scala. Le cose belle hanno un prezzo giusto”.
Qual è, per lei, il segreto di un menù?
“Un buon menù è prima di ogni altra cosa un equilibrio, un trattato di armonia”.
I suoi sono molto sofisticati.
“Se avrà la fortuna di provarne più d’uno scoprirà che in ognuno c’è sempre un grande piatto… Arrapante. E ce sono sempre diversi sfiziosi”.
Il suo libro è pieno di massime affascinanti che sarebbe interessante verificare.
“Mi metta alla prova”.
Lei dice: Nuovo e creativo non sono sinonimi.
“Ma questo è facilissimo da dimostrare… Ha presente il sushi?”.
Certo.
“Ecco, per noi europei è sicuramente nuovo. Ma non ha nulla di creativo”.
Dice anche: Il confine fra citazione plagio – nella cucina e nella vita – è labile.
(I camerieri ci hanno servito il secondo primo). Questo è ancora più facile: per un momento dimentichi l’intervista e assaggi”.
Maccheroncini alla trippa….
“Ma sono di più! Sono una cosa di-vi-na. Solo un piatto così merita una stella Michelin, per quel che mi riguarda. Ma come cuoco, la prima cosa che faccio è pensare a questo piatto… registrare l’idea che contiene… riconsiderare le potenzialità della trippa… il legame dei sapori…”.
Essere tentato di plagiarlo…
(Sorride) “Si può fare tutto, e tutto è lecito. L’importante è citare sempre le fonti delle proprie ispirazioni”.
Controprova: se qualcuno copia la cucina destrutturata, lei quanto si arrabbia?
“Lo considero un elemento di successo. Quanto a questi maccheroncini… la mia fama di cuoco se non meritano una stella!”.
Un suo piatto celebre, “Resina più 60°, cucchiaio meno 20°” gioca sull’escursione delle temperature.
“Il freddo e il caldo sono anch’essi ingredienti, a tavola come nella vita. Producono emozione, esattamente come un aroma”.
Lei usa una macchina, la Teppan nitro, per glaciare i cibi. Di fatto è una cucina al contrario. Quanti esemplari ce n’è nel mondo?
(Ride di gusto). “Solo uno, a El Bulli. E l’anno prossimo buttiamo anche quella, con il vecchio menù”.
Anche un grande cuoco ha bisogno di vip nel suo locale?
“Mi crede se le dico che non ne sento l’esigenza? C’è un grande critico gastronomico italiano, Giorgio Grigliatti la cui presenza mi rende felice”.
Dicono che la sua cucina sia molto intellettuale.
“Sbagliano. E’ frutto di una ricerca scientifica, ma anche di un istinto di creatività animale”.
I piatti sono invenzioni?
“No, non ti sogni la notte il consommè di prosciutto… Sono piuttosto tappe di un processo di ricerca”.
Che musica sente un cuoco d’avanguardia?
(Sorride) “Io sento di tutto, dalla classica al pop. Quando però ho scoperto che un musicista d’avanguardia francese – Bruno Mantovani – ha composto una partitura classica partendo da un mio piatto ho provato emozione”.
E quando l’ha sentita?
“Non l’ho ancora sentita. La prima sarà al Palays royal di Parigi, l’11 giugno. Ha capito? Pa-la-ys Ro-yal”.
Che idea ha della politica?
“Non credo alla politica. Sono troppo sincero per crederci. Ha volte penso che dovremmo votare una volta all’anno, solo per decidere cosa fare delle tasse”.
Zapatero è mai venuto a cena da lei?
“No, ma l’ho conosciuto. Lo trovo una persona onesta”.
C’è un cliente che l’ha resa più felice?
(Sospira). “Una sera è venuto Cruyff, l’ex capitano dell’Olanda. L’unico uomo a cui io abbia chiesto un autografo… Sa, io ho giocato a calcio, da ragazzo, non lo considero una mezz’ala, ma un artista come Mondrian o Picasso”.
E’ un paragone impegnativo.
“Perché? Un artista è uno che nel suo campo ti regala idee che poi ti aiutano nella tua vita. Se uno tornasse da El Bulli con la metà delle emozioni che mi ha dato veder giocare Cruyff, mi considererei fortunato”.
Accoglie tutti i suoi clienti, uno a uno: è marketing?
“Potrebbe venire un ospite a casa sua, senza che lei lo accogliesse? El Bulli è la mia casa, sarebbe assurdo se non lo facessi”.
Uno come lei, che ha già avuto tutto, ha ancora una nemico da battere?
(Fa un pausa, ci pensa bene). “Uno, il più terribile, e vedo nei suoi occhi che si è impadronito anche di lei, e quindi – gtemo – anche di chi leggerà la sua intervista. E’ il nemico più temibile del successo. Altri fingono di non vederlo, io ci combatto ogni giorno….”.
E chi è?
(Ultima risata, ultimo calice di champagne). “L’aspettativa”.
Ferràn Adrìa
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