Quando vado a intervistarlo Gene Gnocchi sta per andare in scena con il suo spettacolo – Cose che mi sono capitate – in uno dei tanti teatri della sua terra, in un bellissimo teatro a Savignano sul Panaro, vicino a Bologna. Una piece esilarante, un esercizio di autobiografismo fantastico, un certo tono kafkiano, che sono il miglior prologo per l’intervista sulla prima volta.
Poco prima di salire sul palcoscenico, Gene (che in realtà si chiama Eugenio Ghiozzi, ed è nato a Fidenza) si concede al fotografo di First. Mentre lo guardo sistemarsi su una seggiolina, in mezzo al teatro, si verifica sotto i miei occhi una sorta di metamorfosi. L’espressione del viso si fa improvvisamente drammatica: i solchi sulla fronte si colorano di ombre caravaggesche, gli occhi guardano altrove. Sembra il ritratto del dramma. Resto per un attimo basìto. Mi viene da dire una sciocchezza, così, per rompere la tensione: “Ti piacciono quelle rughe d’attore?”. Lui risponde con quella meravigliosa erre liquida, inconfondibile marchio di fabbrica fidentino: “Certo. Altrimenti me le sarei già spianate con il botox….eh, eh”. Capisco in quel preciso momento, che il vero Eugenio, assomiglia al proprio personaggio pubblico quanto l’uomo alla sua maschera teatrale. Sarebbe un personaggio in bilico sul dramma, se solo non ci fosse quella leggiadra ironia fidentina a salvargli la vita. Così diventa facile inanellare una raffica di prime volte non previste: prima calciatore, poi attore comico, quindi presentatore, ideatore di programmi televisivi fino all’ultimo, Gnok calcio show, (impedibile) appuntamento di satira su Sky show, della domenica pomeriggio. L’intervista procede seguendo il filo diacronico delle associazioni logiche, a partire da quel primo, improbabile mestiere.
Ma davvero volevi fare l’avvocato?
“L’ho fatto, perdinci…”.
La leggenda vuole che tu abbia mollato per estinzione della clientela. E’ vero…
“Guarda, ne avevo solo tre. Quando uno è morto ho abbandonato la toga”.
Ma così è uno scherzo.
“Giuro. Era un’assicuratore, che portava, allo studio che avevo con un collega, ottime commesse di recupero crediti da infortunistica, incidenti… Quando morì, mi sembrò il momento di trarre una conclusione drastica”.
Quale?
“Non era roba per me”.
Ti ricordi la prima causa in Tribunale?
“E come potrei? Un caso disperato”.
Ovvero?
“Rastelli Fausto, questo il nome esatto del mio cliente, era entrato in stazione rivolgendo improperi al capostazione, e poi lo aveva aggredito”.
Accusa?
“Oltraggio a pubblico ufficiale, perché l’aggredito era in servizio. C’erano decine di testimoni!”.
Una causa disperata. Cos’era successo?
“Il mio assistito era esasperato per il volume dell’altoparlante degli annunci”.
Ma non sei mai serio!
“Giuro. Riuscii a fargli riconoscere un’attenuante. Visto che era in pigiama, non poteva esserci premeditazione”.
Grande esordio, quale fu la sentenza?
“Ehem…. Cinque mesi e dieci giorni”.
Capisco. La tua vera vocazione era il calcio.
“Ho giocato davvero, nei tempi in cui non c’era ancora la C, ad alto livello. La mia promozione era come la C2, giocavo da trequartista, mezz’ala dietro alle punte”.
Era un vero e proprio mestiere, per te.
“Altrochè! Mi allenavo tutti i giorni, prendevo lo stipendio…”
Sei mai stato espulso?
“Una sola volta, ma indimenticabile. Giocavo nel Viadana, contro una mia ex squadra, il Guastalla”.
Un fallo grave?
“Diciamo che mandai l’arbitro, molto simpaticamente a cagare”.
Non me l’aspettavo.
“Fai male. Il calciatore è fondamentalmente una testa di cazzo. Quando sono in campo io divento un vero animale, insulto tutti i miei compagni dal primo all’ultimo, non sono mica uno di quelli che applaude se gli sbagliano il passaggio”.
Ti immaginavo un serio ragionatore.
“No, fondamentalmente in campo io ho sempre fatto il cretino, come in tutto il resto della mia vita”.
Ma come fu la tua prima volta sul palcoscenico?
“Memorabile. Ma casuale”.
Come casuale?
“Esordii solo per onorare una scommessa”.
E fu un trionfo.
“Figurarsi. Basterebbe raccontarti la scena. Ero all’Hollywood di Vigolzone, un locale dell’appennino”.
Esiste ancora?
“Oddio, credo di sì”.
E il compenso?
“Niente soldi. Il proprietario, un certo Baldini, pagava in natura, con risottini allo campagne”.
E la scommessa l’avevi vinta, almeno?
“Andò così. C’erano dieci persone, non una di più”.
Però entusiaste, immagino.
“Ad un tratto, improvvisamente, si alzò uno dalla seconda fila, e lanciò un urlo crudele: Va’ a ca’, animal!”. Sai quanto può essere feroce il pubblico”.
Ma la scommessa quale era?
“Quella che feci con me stesso, in quel preciso momento: ‘Io non posso mollare, e dare ragione a questa bestia. Dovevo strappare l’applauso per una questione di dignità, e lo feci”.
Ma il tuo monologo te lo ricordi ancora?
“Oh, certo, come potrei: il protagonista diventava torero facendo la scuola radio-elettra per corrispondenza”.
In queste interviste sto scoprendo che molte prime volte lasciano il segno per tutta la vita.
“Quel numero potrebbe tranquillamente figurare in un mio spettacolo di oggi”.
Hai capito qual è la cifra della tua comicità?
“Lo scarto, il deragliamento. Mi piacciono le cose che vanno in un senso, apparentemente ragionevole, e che poi improvvisamente cambiano direzione.
Ma la battuta del tuo spettacolo sul Pd, che per recuperare consensi, decide di far venire le stimmate a Veltroni, l’hai aggiunta dopo le dimissioni?
(Sorride) “No, giuro. Lì è la realtà che è venuta in soccorso del copione”.
Anche come calciatore sei uomo di finte, e come scrittore prediligi il racconto fantastico.
“Scrivo tutte le sere, quando mi viene in mente qualcosa, seduto sulla mia poltrona, con il mio Trattopen nero”.
Hai pubblicato quattro libri per la più blasonata delle case editrici, l’Einaudi.
“Ho iniziato nel 1991, pubblicando con Garzanti i racconti che avevo scritto ai tempi dell’università. Credo che Una lieve imprecisione ebbe un grande successo perché la gente immaginava di acquistare un libro comico”.
Ci sono molti che trovano la riduzione di attore comico.
“Figurati, anche Totò lo era, per me è un punto di onore”.
Ce l’hai una battuta che fa ridere sicuro, su qualsiasi palcoscenico.
“Ci sono delle fesserie con cui stranamente si va colpo sicuro”.
Ad esempio?
(Tono recitato). “Questa è la tragica storia di un ciclista di Rovigo, che quando stava battendo il record di Moser è stato distrutto dall’entrata in vigore dell’ora legale…”.
Rita Dalla Chiesa ti voleva querelare per una battuta: "È vero che ti sei innamorata di Frizzi quando gli hai visto aiutare una vecchietta ad attraversare la strada?"….
(Si fa serio). “Lo so, venni a sapere che c’era rimasta male e mi dispiacque”
Eppure eri recidivo. Alla Pizzi ha chiesto: "Nilla, mi sai spiegare il significato del proverbio Gallina vecchia fa buon brodo?"…
“Vabbè, se è per questo dissi anche alla Marzotto che aveva recitato un film di James Bond, agente zero zero sete missione casa di riposo”.
Sotto la maschera del tuo carattere d’oro sei anche cattivo, confessa.
“No, non è questo. E’ che la comicità ha anche questa faccia: deve essere ad personam”.
Si discute tanto dei confini della satira, recentemente.
“Non ce ne sono”.
La politica ha contato tanto, nella tua vita. Tuo padre era segretario della Camera del lavoro di Fidenza.
“”A casa mia, se parlava Togliatti, si fermavano gli orologi. Se si leggevano poesie era solo Majakovskij. Se si guardava l’ora era un orologio russo, se si guardava una partita della nazionale, si tifava Unione sovietica”.
Mi sembra meraviglioso.
“Vuoi un’altra prima volta? Nel 1972, io, mio padre, mia madre e mio fratello Alberto, ce ne andammo fino a Bruxelles, con una Giulia rossa, a tifare l’Urss per una finale degli Europei”.
E come andò a finire?
“La cronaca essenziale? C’erano 50 mila tedeschi, duecento russi infreddoliti, e noi quattro con la bandiera rossa e la falce e martello: ti dico solo che finì tre a zero”.
Scherzi?
“Assolutamente no. Però dissi per anni che Jascin era il più grande portiere del mondo”.
E lo era.
“Oh, caspita, sì. Oltre a tutto quello che abbiamo detto, però, c’era la forza e la bellezza degli ideali, della passione, delle battaglie giuste. Io i comizi di mio padre li andavo a sentire tutti, e provavo i brividi: erano lotte epiche”.
Per che cosa?
“Per il lavoro. Brumioli, Barilla…mio padre si è fatto tutti i contratti dell’area industriale”.
E la tua formazione politica come fu?
“C’era l’amore per l’Urss su cui ho scherzato prima. Ma anche tanta criticità. Io nel settanta leggevo Flaiano e scoprivo il dubbio, quando capitavo nelle assemblee con i ragazzacci indottrinati che inneggiavano alla violenza sentivo puzza di morto”.
E adesso il Pd ti scalda il cuore?
(Lungo sospiro). “Io credo che un partito debba essere prima di tutto laico. E il Pd non mi da questa garanzia”.
Sei di quelli che detestano Berlusconi?
“No. Penso solo che sia sbagliato consegnare tutto il paese a una persona sola. Non va bene. E in televisione, tra Rai e Mediaset, questo si capisce ancora meglio”.
Perché la sinistra non capisce nulla di Tv?
“Stanno lì controllare con il bilancino le presenze di Malpensa Italia. E poi non capiscono che il senso comune viene veicolato a Mattino 5. Non lo guardano!”.
A Sky come ti trovi?
“Gnok calcio show è esattamente quello che mi piace fare la domenica pomeriggio. Mi sento completamente libero”.
Sei ricco?
“In termini relativi devo dire di sì. Diciamo pure che posso permettermi di non lavorare per soldi. Faccio quello che mi piace, è la più grande libertà”.
E’ difficile.
“Siccome non ho lavorato per soldi nemmeno quando non li avevo, non mi riesce difficile oggi che li ho”.
Una marchetta l’avrai pure fatta.
“Sì. Ad esempio, una convention per la Unieco, i grossi costruttori dell’Emilia romagna, in un castello. Ma ci ho studiato un mese sopra, di fatto era un piccolo spettacolo, e nemmeno malvagio”.
Con il tuo spettacolo ti sei imposto una tournè in 45 teatri.
“Ma quello è un piacere!”.
Riuscirai ad essere il più vecchio esordiente in serie A? Ci sei andato vicino col Parma.
“E’ la prima volta che ancora sogno. Quell’anno mi tesserarono regolarmente, per 1500 euro. Mi allenavo anche. Solo che scendere in campo all’ultima giornata, nello spareggio salvezza era troppo”.
Certo, retrocessero!
“Non ho mollato. Il mio Capelloni, presidente del Mantova, mi ha fatto sapere che c’è un posto pensa che bello fare goal a 50 anni, magari su punizione…”
C’è un’altra prima volta, più realizzabile che ti manca?
“Oh sì… Una telecronaca della nazionale italiana, alla mia maniera, ma seria. Magari una finale mondiale. Ma chissà: non dispero ancora”.
Gene Gnocchi
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