Arriva senza scorta di polizia, ma sempre con l’autista del partito: «Sto scrivendo un libro», annuncia. Il volto è disteso, rilassato. Il sorriso quello solito, gioviale e tecnicamente veltroniano: anche se fosse incazzatissimo non te ne accorgeresti. Sorride: «Adesso finalmente posso gestire il mio tempo». Esordisce con una lunga e granitica avvertenza: «Non intendo parlare della politica di oggi, dell’attualità». Poi, però, soprattutto nella fase delle domande che arrivano dalla platea degli studenti che lo ascolta, parla di tutto: magari in cifra, magari senza far nomi. E, anche se lui non condividerebbe questa interpretazione, stupisce sia nei giudizi sul passato che sul presente: lui, che è stato iscritto per venti anni al Pci, esalta l’azionismo come «unico partito riformista della storia d’Italia». Lui, che è stato fino a due mesi fa leader del Pd, apre a molte idee berlusconiane: «Sono d’accordo per dare più poteri al premier, a patto di risolvere il conflitto di interessi».
Insomma, Walter Veltroni rompe così un lungo periodo di silenzio inaugurato dopo le dimissioni da leader del Partito Democratico (fino a oggi solo la presentazione del libro del magistrato anticamorra, Raffaele Cantone). Torna, dunque, e lo fa con una lunga lezione sulla genesi del riformismo in Italia all’università, in questo caso la Luiss di Roma, che per forza di cose diventa anche una testimonianza sulla sua storia recente. Rispetto al Veltroni politico sembra solo un po’ più pacato: legge un testo scritto, combatte con diversi lapsus, si sottrae a qualche domanda ostica (ad esempio il giudizio sul craxismo), ripete i cardini della sua analisi del dopo elezioni: «Abbiamo fatto un grande rimonta», e «far sottoscrivere un programma di governo ad Antonio Di Pietro non era per nulla una brutta idea».
A tratti, anche quando parla di principi generali, allude a se stesso, con accenti quasi lirici: «In politica ci si può bruciare le ali, ma bisogna saper dire al proprio mondo le cose più dure e difficili». A tratti rivela qualche piccolo retroscena: «Certo, le elezioni in Abruzzo hanno avuto la loro storia, quelle sarde pure… Ma il giorno in cui ho dato le dimissioni da leader del Pd avevo sul tavolo un sondaggio, a cui ne accostavo un altro, sulla forza dei diversi partiti d’Europa, da cui risulta che il Pd era uno dei partiti più forti della sinistra europea e credo che lo sia ancora!». Alla fine – e meno male che non voleva parlare di politica contemporanea! – si concede anche una stoccata ironica sulla nascita del Pdl che suscita ilarità in sala: «Ho visto questo congressino che è volato via nel disinteresse generale…». Poi dice che vorrebbe le primarie «normate per legge». E quando un ragazzo gli chiede: «Ma scusi, se lei dice che la politica ha bisogno di pensieri lunghi perchè cedere la guida?». Bella domanda e Veltroni sospira: «Per due motivi… Il primo è che pensavo che le mie dimissioni avrebbero aiutato a rendere la situazione meno convulsa, anche sul piano mediatico, e ne ho avuto conferma». La seconda: «Perché ci tenevo ad affermare che anche una persona che aveva preso tre milioni di voti poteva affermare un’idea della politica diversa». Ovvero non imbullonata alle poltrone. Visto che ha parlato della vittoria della destra, gli chiedono, quanto pensa che ci vorrà prima di veder tornare a vincere la sinistra? Veltroni allarga gli occhi, e anche qui non sembra molto ottimista, per il suo partito: «Il tempo di un ciclo politico. La destra ha vinto – e qui usa parole ancora più nette del suo discorso di dimissioni – una battaglia culturale». Gli piace l’idea dei «partiti che decidono». E soprattutto pensa che il percorso della riforma delle regole non sia ancora finito. Anche qui, non a caso dopo la nascita del Pdl Veltroni dice che bisogna fare un altro passo verso la semplificazione del sistema: «L’italia deve fare un ulteriore passo in avanti. Abbiamo una democrazia bipolare imperfetta. Bisogna andare avanti nel processo che è stato avviato, per avere non aggregazioni informi, ma il confronto fra partiti che abbiano una unità di fondo». Poi, con una stoccata rivolta a coloro che nel centrosinistra vorrebbero tornare a ricostruire una coalizione: «Scorciatoie ce ne sono molte, si può far finta di nulla e tornare a fare come si faceva prima… Ma io penso che la bellezza della sfida sia costruire un grande partito riformista». Certo, Veltroni mette anche qualche paletto: «Non mi piacciono le liste bloccate, ma nemmeno le preferenze, credo che la cosa migliore siano i collegi uninominali». E anche, sul Pdl: «E ho visto che il leader ha nominato tutti, dai segretari regionali alla direzione. Non mi sembra un modello democratico né un modello partecipato».
«Pd battuto ma anche in rimonta»
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4 risposte a “«Pd battuto ma anche in rimonta»”
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Sono contento di Dario Franceschini che mi sembra essere un leader sicuro e che non perde tempo in giri di parole: si ha bisogno di persone che dicano poche parole ma decise e che sappianno rispondere, in maniera assertiva, colpo su colpo senza trincerarsi dietro circonlocuzioni verbali astratte e politichesi. Una sconfitta può essere la base di una rimonta, basta che il gruppo sia compatto e non disperso in mille correnti di belle fighe e di vecchi leader. In un partito possono convivere più anime basta che non si assista più ai vari predomini ideologici e alle snostalgie passatiste. e voglio concludere dicendo che guelfi e ghibellini appartengono al passato e la Chiesa deve occuparsi delle anime e non degli stati. Libero Stato e Libera Chiesa
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Credo nella rimonta del Partito Democratico e nella possibilità che tutto il centrosinistra, dopo il necessario rodaggio, possa ambire al ruolo di alternativa possibile al centrodestra del siamo liberali, democristiani, socialisti, laici, clericali, radicali e libertari,tutti dietro il simbolo “Berlusconi”. Detto questo la soglia del 33-34% che il Pd ha raccolto alle scorse politiche sia ripetibile a due condizioni: 1) il cambio di leadership ha dato una sorta di ossigenazione terapeutica al partito, non tanto per l’inadeguatezza di veltroni, anzi, ma perchè ha messo in sordina tutta la cosidetta “nomenclatura” che dal 1992 attanaglia qualsiasi leader del centrosinistra: D’Alema in primis. La conseguenza migliore è stata l’apertura reale del dibattito interno che ha coinvolto la base e soprattutto coloro che hanno scelto,me compreso, il Pd senza rivendicare ruoli o appartenenze retroattive, quasi ci si dovesse rischierare per una possibile (per molti nell’opinione pubblica era imminente) scissione. 2) La scelta chiara di un profilo identitario avanguardista e le elezioni europee sono il banco di prova strategico per l’intera classe dirigigente e militante del partito. Ne ADLE ne PSE. Ma la proposta di una efficace terza via, praticata già nel sistema americano e che viene incarnato al meglio da Obama di un riformismo liberale solidale, legato al vissuto che trascenda dalla propria storia personale e ideologica e che pone attenzione alle fasce più deboli stabilendo un patto di reciprocità con la classe produttiva del paese e di quel ceto medio che spesso decide le sorti di ogni elezione. Il Pd in un certo senso è già questo. L’intento di Veltroni di “unire il paese”, attraverso un patto tra impresa e lavoratori, lanciando una piattaforma di confronto tra laici e credenti, proponendosi come forza mediatrice tra le varie istanze del paese, sarà la chiave vincente nel futuro prossimo. Il presente tuttavia, commutate le coscienze dei cittadini, dietro il capitale sociale dalla paura per il diverso, lascerà definitivamente strada all’affermazione di un sistema valoriale comune che trova nell’Europa la propria dimensione multiculturale. Da credente affermo che esperienze come l’associazionismo cattolico, se messe nelle condizioni di operare gomito a gomito con le istituzioni, saranno il volano per la ripresa anche economica e sociale del paese. Il Pd ha in questo un pregio in più rispetto agli altri partiti. Auguri.
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Carissimi,
mi sembrate entrambi molto appassionati al Pd, ed è un sentimento che rispetto in tempi di disfatte publbiche e private. Ma detto questo, io sono rimasto sconvolto dalla prima parte della lezione, che qui non ho fatto in tempo a raccontare per bene, ma che accenno. L’idea che il riformismo in Itlaia sia nato coni l Pd a me pare un insulto alla memoria del Pci, della Dc, esopratutto dell’intelligentza. Finchè il Pd sarà “figlio di nessuno” credo che non andrà lontano.
Luca -
Spett.le Telese, credo che l’esilarante pretesa del centrodestra di richiamarsi a tutto fuorchè ad un unica casa politica di riferimento la dice lunga sul fatto che i principali ministri di questo governo siano tutti ex socialisti,che il futuro triunviro che guiderà il Pdl veda insieme un ex Pci (Bondi) e un ex Msi (La Russa) e che soggetti “liberali” come Guzzanti (oggi nel PLI) e Martino abbiano preso atto del fallimento del percorso innovatore che ha incarnato nel bene o nel male Forza Italia e che oggi vede il partito evolversi (regredire) in un qualcosa che potrà andare bene per raccogliere consensi (poichè sono diverse le lobbies che ne trarranno vantaggi enormi)ma che ha perso l’idea di presentarsi come casa comune dei moderati e liberali. Ciarrapico, la Mussolini…tutti riabilitati ma quando finirà politicamente Berlusconi, sarà un brutto risveglio.
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