Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Piero Chiambretti

“Non vorrai mica parlare di trombate?”. Se provi a iniziare un ciclo di interviste sulla prima volta con Piero Chiambretti, devi superare una raffica di battute. Poi precisi che vuoi parlare della sua prima volta in televisione. Allora Piero, giunto alla vigilia del suo debutto epocale su Mediaset, con Chiambretti night si fa subito serio: “Per raccontare la mia prima volta in tv, dovrei partire da uno storico provino. Ma prima di quel provino, di un esperimento. E prima ancora di un fiasco. Tutti questi passi sono stati la mia prima volta, e hanno segnato tutta la mia carriera, compreso questo ultimo programma”. Non c’è altro modo che raccontarli tutte e tre. Incontro il conduttore più irriverente della tv italiana negli studi di Milano dove da mesi prova Chiambretti night. E’ sempre lo stesso da almeno dieci anni: il sorriso senza tempo di chi sembra non invecchiare, la pignoleria sabauda di un perfezionista convinto che ogni dettaglio in tv debba avere un senso.

Allora Chiambretti, la primissima volta quale fu?
“Una falsa partenza. Ma per me molto importante”.

Dove?
“In una tv privata piemontese, Grp nel 1977: veniva chiamata ‘la piccola Rai’, perché era piena di ex funzionari di viale Mazzini”.

Un luogo di livello?
“Un vorrei ma non posso. Io e il mio amico Eric Colambardo provammo un programma di video commentati e telefonate in diretta, Non siamo gazzose…A ripensarci ora era Mtv dieci anni prima”.

E come andò?
(Ride) “Come doveva, un disastro”.

Perché?
“Facevamo i nostri siparietti cercando la trasgressione assoluta. Il nostro refrain era: ‘La tv, vi rincoglionisce, non guardatela’”.

Capito. Non vi vedeva nessuno?
“Al contrario. Ma avevamo suscitato un demone, e arrivavano telefonate violentissime. Ne ricordo una che fece traboccare il vaso: ‘Sei un figlio di puttana’. E io: ‘Non sono tuo fratello’. Insomma, ci chiusero senza gloria, e il mio primo inizio fu questo”.

Perché dici che ce ne fu un altro?
“Il mio primo vero programma, fu in un canaletto, Telemanila”.

Come ci arrivasti?
“Mi presentai io. Non conoscevo nessuno, non avevo amicizie, solo il mio istinto, l’unica cosa certa è che volevo rompere lo schema della tv stile-Rai. Quindi – fu la premonizione giusta – pensai: ‘Posso esprimermi solo  in un posto dove non c’è nulla’”.

Telemanila era così?
(Grande risata) “Era una tv che vendeva quadri, ed era di proprietà dell’uomo che li dipingeva, e che faceva le televendite”.

Dal produttore al consumatore?
“Già! Quando andavano le cassette, lui era nel retro a dipingere. Sempre così tranne un’ora, fra le 12 e le 13, in cui andava in onda un cartone animato, quasi sempre lo stesso”.

Perché me lo dici?
“Perché andai da lui e gli dissi, un po’ sfacciato: con gli stessi soldi che ti costa quel cartone, io ti faccio un programma”.

E quanto costava? 
“La prima fregatura. Non so per quali giri di cambio merce, lo pagava pochissimo: ‘Mi costa solo 50mila lire”.

Ti sei arreso?
“Macchè, rilanciai: ‘Allora tieni le 50mila lire e dammi lo spazio”.

 Una disastro.
“Fino a un certo punto, e per due motivi. Il primo: quella fascia, dal punto di vista televisivo, era fantastica, ma ancora non esisteva. Fu la Carrà, proprio lo stesso anno, a  ‘inventarla’, con il famoso programma dei fagioli, Pronto Raffaella”.

E poi?
“Telemanila aveva un’altra risorsa segreta: lo spazio dove era”.

In che senso?
“Si trovava nel quartiere Porta Palazzo, a Torino, che era – ed è ancora oggi – molto depresso: un quartiere di  ex emigranti”.

E questo contava?
“Non potendo permettermi una scenografia, l’unica possibilità era trasformare il quartiere in una scenografia”.

Come?
“Era un capannone, un atelier… Bene c’erano solo due camere, ma aprendo il capannone, e tendendo il cavo all’estremo, potevo portare le camere proprio al filo della strada. Il margine era questo: un metro di marciapiede a destra, uno a sinistra”.

E bastava?
“Caspita! Era un universo che solo Fellini avrebbe potuto immaginare. Per ricostruirlo in uno studio Rai ci sarebbe voluto un miliardo, io l’avevo gratis: nacque così il Dedicane è il 1980”.

E il format?
(Sgrana gli occhi) “Il format, era, la strada”.

Come hai conquistato i primi ascoltatori?
“In mutande”.

In senso metaforico?
“No, tecnico. Aprii il capannone, piazzai la camere, mi misi sopra una sedia in mutande, iniziai a declamare, seriosissimamente, delle cronache di presunta attualità”.

E cosa accadeva?
“Un effetto pifferaio magico. La gente si incuriosiva, scendeva, mi veniva intorno, si affacciava alle finestre a salutare”.

Perché?
“Stare nella scatola della Tv, anche se sei il più fesso del mondo, ed è la tv più sfigata, ti da una luce che quando ne esci fuori non hai. Senza accorgermene stavo scrivendo la… prima legge del chiambrettismo”.

Ovvero?
“In tv tutti possono essere dei numeri uno”.

Torniamo a Telemanila.
“Dopo un po’ era diventato un fenomeno sociale. Chi passava in macchina a salutare mentre eravamo in onda, chi portava la batteria sul marciapiede e chiedeva: ‘Posso esibirmi?”.

Era già uno show…
“E qui arrivai alla terza intuizione decisiva: lo piazzamento”.

Ovvero?
 Una legge non scritta del modello Rai – all’epoca l’unico –  era: la tv non dice bugie”.

E tu le dicevi?
“Le facevo dire agli altri, ma non erano bugie”

Il che senso?
“Il quartiere era popolato da gente del sud arrivata per la la Fiat. Bastava iniziare il programma dicendo. Siamo in diretta da Madrid, da Amsterdam, che poi tutto diventava come una sceneggiatura”.

Ovvero?
(Simula una introduzione) “Buonasera, qui è Telemanila, in collegamento da Buenos Aires, un quartiere pieno di emigranti, gente che ha sofferto molto: ‘Scusi, lei, da dove viene da quanti anni manca da casa?”.

Chi fermavi?
“Questo è il bello, tutti. Ma nove volte su dieci era un immigrato calabrese a Torino. L’effetto era comico, ma la sua storia era vera! Non lo sapevo ancora, ma era la prima candid camera con telecamera a vista: lo spiazzamento era il valore aggiunto”.

Ma allora la tua prima volta è questa!
“Sì e no. Dopo venne la Rai”.

Con il famoso concorso. “Volti nuovi” del 1981.
“Era uno di quei carrozzoni un po’ tarocchi che servivano  a dire: ‘vedete? Diamo delle opportunità”.

A te la diedero..
“Aspetta…. qui viene il bello. Eravamo 9mila, ma avevo passato la prima grande scrematura. Mi ritrovai in una stanza vuota, schermo a specchio da interrogatorio: c’era dietro la giuria ma non la vedevo”.

Ti ricordi l’esordio?
“Oh, certo: ‘Ero venuto a cantare una romanza. Ma il pianoforte mi è rimasto incastrato in ascensore…’. Immaginavo un ipotetico show, che poi era il racconto fantastico della Telemanila che sognavo”.

E che poi sarebbe diventato il divano in piazza di Va pensiero.
“Esatto. Vedi? Un’altra prima volta. Era lo stesso concorso in cui passarono Fazio e Cecchi Paone, forse persino Iachetti. Arrivai alla selezione finale, nell’andito qualcuno diceva: ‘Chi conosci?’ ‘Io non conoscevo nessuno’”.

Che potevi fare?
“Di più. Quando mi chiamarono entrai in mutande. Anche questo, come sai, era un retaggio di Telemanila: mi dissero: complimenti, ha vinto! Verrà convocato presto”.

Stavolta ce l’avevi fatta…
“Sparirono. Spa-ri-ti per sem-pre”.

Ma come?
“Eh già. Passarono tre anni. Erano a casa. Squillò il telefono: era la Rai di Torino: ci serve un valetto. Era il 1984”.

Ti chiamavano per il concorso dopo tre anni?
“Nooo, è questo il bello. Mi dissero: l’abbiamo vista a Telemanila, ci piace. Capisci? Ho lavorato per quattro anni alla Rai di Torino. Finchè Bruno Voglino, capostruttura di Rai tre che era dietro quel famoso vetro, non mi chiamò a Rai tre, nel 1987”.

Anche il divano di Va’ pensiero, era figlio Telemanila.
Sì, ma con una variante… universalistica”:

Ovvero?
“Lo spiazzamento era ormai totale. Mettevo il divano in strada, fermavo una signora, mi presentavo: ‘Scusi, sono un raccomandato Rai, dovevo intervistare la madre di Stallone ma non è venuta. Può sostituirla lei, sennò mi licenziano?”.

E la magia funzionava?
“Sì, perché quella signora aveva un figlio, mi diceva ‘mio figlio va pazzo per il salame…’, e siccome la Rai non dice bugie, anche Stallone andava pazzo per i panini al salame”.

Cos’altro c’era dietro?
“Una radice che è arrivata fino ai reality: il senso innato di emulazione che ispira la tv. Il sogno di incarnare un personaggio pubblico”.

Poi ti se inventato una raffica di altre cose impossibili.
“Il portalettere, programma senza studio, con plico per Cossiga durante Tangentopoli; la trasmissione a domicilio; le aule universitarie-studio con Paolo Rossi; le letterate al posto delle veline con Boncompagni; lo studio più piccolo del mondo – una canbina telefonica! – in prontochiambretti – lo sdoganamento della marchetta con Markette…”.

E’ vero che hai scoperto la Litizzetto?
“Sì, la portai con me a Radio rai. Ma ho un rammarico. Le feci un provino per il Laureato, dove credo che lei provò la sua Sabbri. Le dissi: ‘Il personaggio è vincente, ma non in questo programma’ La prese la Gialappa ed esplose lo stesso. Puoi essere talent scout, quanto vuoi, ma quando c’è il talento arrivi”.

Persino Alfonso Signorini, televisivamente, l’hai scoperto tu.
“Questa è divertente. In Chiambretti c’è, c’era una rubrica di gossip, tenuta da un certo D’Agostino, che avevo piazzato in una grotta nel sotterraneo del programma”.

Litigaste…
“Andavamo in diretta. Poco prima della messa in onda gli feci un appunto su un paio di parolacce che aveva detto il giorno prima”.

Come eri puritano.
“Probabilmente troppo. Dago si infuriò e disse. ‘Ahò, me state a stressà…’, e se ne andò!”.

E tu lo sostituisti con Signorini?
“Ce lo aveva portato Irene Gergo, faceva l’autore. Aveva qualcosa di unico: i maglioncini a girocollo di cachemire, quel modo di parlare, uno sguardo suo sul mondo che divenne tormentone: è chicchissimo… Dal gossipparo passammo al lookkologo, e funzionò”.

E D’agostino?
“Siamo rimasti amici, lui non ha rancori, non è avido. E’ una delle poche persone al mondo contento di lasciare un lavoro piuttosto che di trovarlo”.

Una volta che Signorini si ammalò lo sostituisti per un mese con un attrezzista degli studi Dear.
(ride di gusto) “Portava in scena le scrivanie durante lo show. Ma avevo sentito dietro le quinte che sapeva a memoria tutti le date di nascita di tutti i personaggi pubblici. Funzionava anche lui”.

Hai fatto un personaggio del portiere della sede Rai di Milano.
“Se per questo anche di Benito Urgiu, un pastore sardo che sarà anche nel prossimo show. Ma, televisivamente, anche Luxuria e Capezzone, hanno fatto carriera a Markette. Il mio principio è: tutti quelli che hanno qualcosa di unico, danno qualcosa di unico”.

Detto così sembra facile.
“C’è un’altra regola. La tv va fatta fare a chi non la vuol fare”.

Allora farai vedere il tuo autore storico, l’alter ego Tiberio Fusco?
(Ride) “Ogni tanto ne mostro un pezzetto, di contrabbando. Ma lui è granitico, vuole restare dietro le telecamere. E’ un uomo del sud: timido, folle, geniale, finirà nel National Geographic per come abborda le ragazze”.

C’è un segreto in tutti questi anni di sodalizio?
“E’ il mio contrario: metodico, archivistico, preparato. Si interessa di argomenti che tendono inesorabilmente alla morte. Non avessi questo contrappeso farei una tv frivola”.

Se devi dire il primo programma che ti piace?
“Santoro! Ansiogeno, emotivo, spettacolare: i miglior studi della tv italiana, la drammaturgia più appassionante”.

Ti accusano di aver tradito la sinistra passando a Mediaset.
“Mi fa arrabbiare. Sono di sinistra per la mia storia e i miei valori. Ma non sono della sinistra. Non ho tessere, non appartengo a qualcuno”.

In che senso?
“Anche quando lavoravo a Rai tre non ho mai frequentato salotti, partecipato a convegni, fatto telefonate, presentato feste di partito. Non sono mai stato né un militante né un Pierre”.

Controprova: perché hai messo Berlusconi nel tuo spot?
“Perché lui, per chi fa televisione, anche opposta alla sua, è tutto. Berlusconi scrive la parte ai cantori berlusconiani e anche ai più feroci antiberlusconiani”.

Non era uno spot apologetico?
“Scherzi? Iconoclastico, semmai. Berlusconi è così radicato a Mediaset che è un totem, una divinità non rappresentabile. Infilando una foto seppiata di Chiambretti fra la sua e quella di Confalonieri ho commesso un volontario sacrilegio”.

E Chiambretti night?
“Non svelo nulla fino all’esordio. Ma c’è tutta la mia storia dentro. E’ un programma, che è anche un locale, che è anche la sintesi di tutta la mia tv, a partire dalla scenografia”.

E…
“Stiamo parlando da tre ore della mia prima volta e ti ho detto più che a tutti gli altri! Per l’ultima serve un’altra intervista…”.


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Una risposta a “Piero Chiambretti”

  1. Avatar GIULIO
    GIULIO

    BENITO URGU PASTORE SARDO???????BALLA GRANDE QUANTO UNA CASA..URGU E’ DA 40 ANNI IL PIU’FAMOSO CABARETTISTA SARDO…(DA POCO IN TV ANCHE CON FRASSICA NEI “I MIGLIORI ANNI DELLLA NOSTRA VITA”….

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