E poi, a metà presentazione, lo dice: «Vasco ha questa cosa fantastica che avevano anche Verdi e Pavarotti. Gente di cui si diceva, come si dice di lui, che erano volgari e che si buttavano via. Ma che quando aprono lo spartito ti arrivano dritti in testa come pallottole». E poi Pierluigi Bersani lo dice, chiaro e tondo. Qualcuno aprirà polemiche, qualcuno osserverà che ha ragione, in ogni caso sarà una piccola battaglia di egemonia culturale e nazionalpopolare intorno al più famoso rocker italiano, che l’ex ministro del Pd vuole arruolare nel suo schieramento: «Ohè, c’è poco da fare… Io nella ricerca di efficacia, nella sua chiarezza, nella sua onestà comunicativa e nella sua capacità di essere normale… Beh, mi sembra proprio che Vasco per questo sia senza dubbio di sinistra».
Ore 19.00 circa, Roma: dibattito che parte con pubblico sparuto e che alla fine raccoglie una piccola folla al Palazzo delle Esposizioni. Si presenta un bel libro di Enrico Brizzi, che già dal titolo intriga e predispone la speculazione politico-musicologica: La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco Rossi (Laterza, 10.00 euro). Nella copertina del libro c’è già tutto: un sorriso di donna, le due torri, la musica, il calcio e un paio di falci e martello. Brizzi ha avuto un’idea. Imperniare la storia della sua città (in una collana che ha eletto a genere il racconto topografico) dentro quella della musica che ha partorito. Insieme a lui, a discutere, ci sono (in veste di «vascofili» eccellenti) un giornalista come Giovanni Floris e per l’appunto Bersani. Già Brizzi offre buone piste per il dibattito sull’era vascorossiana e sulle sue ragioni storiche: «Siamo negli anni Ottanta, anni di solitudine, di male di vivere: pensavamo che il Pci avrebbe governato per millenni, e che la Resistenza non sarebbe mai stata messa in discussione. Ci siamo ritrovati Guazzaloca» (definito «il qualunquista al ragù»).
Di questo particolare incrocio fra musica e storia, Brizzi è testimone privilegiato, perchè cresciuto in quel quartiere stadio-Bologna, «dove all’inizio degli anni ’80 si aggira una pattuglia di ragazzi con i giubbotti neri e gli occhiali da sole, che trovi nei bar alle sei del mattino perché hanno passato la notte a suonare nelle feste de l’Unità. Tra questi, ovviamente, Vasco e i suoi compagni di avventure».
È il clou del libro, e il dibattito si fa avvincente. Brizzi racconta la metamorfosi vascorossiana: da anonimo poco raccomandabile amico di quartiere, a star meteorica a Sanremo («Ci andò due volte arrivando ultimo e penultimo!») a «Ohi, ragazzi c’è Vasco!» e file davanti a ristoranti se c’è davvero lui. Anche per Floris Vasco è figlio degli anni Ottanta, «ma non è vero che furono solo anni di disimpegno». I ricordi di Floris parlano di una Roma a metà fra il punk e il dark, che tira un sospiro di sollievo per la fine degli Anni di piombo, che vive la politica senza partiti, «ma non per questo senza passioni generose». E sulla vascomania Floris aggiunge: «Leggendo la ricostruzione di Brizzi ho ritrovato la storia dell’arresto di Vasco. Ecco, credo che sia un indizio rivelatore. Non me la ricordavo. E se non la ricordavo è perché Vasco è cambiato. La sua grandezza è di aver cambiato se stesso senza che ce ne accorgessimo. Di essere legato a tutte le epoche che abbiamo attraversato, di parlare a più generazioni aumentando consensi. Non vado a prendere un suo disco perché so che c’è, ma perché mi incuriosisce: che dirà Vasco oggi?».
Bersani dà forza al suo discorso «di arruolamento» vascorossiano partendo dal racconto di episodi esilaranti: «Confesso, a Imola, nel 1998, riuscii a farmi raccomandare per un posto sottopalco… I decibel erano sparati a mille, lui stava cantando Gli spari sopra… In un momento di baccano infernale si avvicina uno e mi grida nell’orecchio: “Sono un avvocato, vorrei spiegarle questa cosa degli ordini professionali…”». Il pubblico ride: «Perché lo ricordo? Perché realizzai che lì c’erano tutti, dagli adolescenti ai cinquantenni, dai fricchettoni ai professionisti». Per Brizzi Vasco resta sulla cresta dell’onda «perché ha saputo centellinarsi e ha vissuto da star senza allontanarsi dalla gente». E qui Bersani torna alla carica: «C’è più di una gestione intelligente! C’è una grande lavoro di fatica, ma anche semplificazione. C’è la scelta di assumere come postulato la volontà di esser sincero». Poi, sorridendo: «Per questo Vasco è sicuramente progressista: con la semplicità e le sue storie aiuta la gente a vivere. È un servizio sociale. Ed è addirittura terapeutico». Chi sa che ne pensa Tremonti…
Bersani arruola Vasco: sincero, quindi di sinistra
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