Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

La sinistra sconfitta festeggia il trionfo tv di Vladimir Luxuria

Ma cosa mai gli sarà venuto in mente, ai compagni di Liberazione  di intonare una prima pagina di entusiastico peana a Vladimr Luxuria e alla sua vittoria a  L’Isola dei famosi? Sapevamo che il compagno Piero Sansonetti mette in pagina il giornale dei lavoratori e dei no global, avevamo ancora negli occhi la prima pagina dedicata alla memoria di Sandro Curzi, non riusciamo davvero a capire da cosa derivi l’entusiasmo per la presa di un reality.

Dev’essere il bisogno di cavalcare una moda, dev’essere il desiderio di sentirsi intonati nel coro. E così l’Isola diventa magicamente il nuovo «Palazzo d’Inverno», la Magnolia il nuovo strumento della classe operaia, e Simona Ventura un’altra Angelica Balabanoff, compagna di lotte del rivoluzionario eroico. E così la pur ottima Angela Azzaro, si deve essere sentita un po’ come una novella John Reed, e presa dall’impeto ha scritto con prosa estasiata: «Si diceva che non doveva andare in una trasmissione borghese, senza valori, che non doveva legittimare un brutto programma.

Invece lei è andata e ha trionfato». Ma per piacere. E dire che proprio il quotidiano di Rifondazione aveva ospitato lo sconcerto dei lettori, che alla notizia dell’arruolamento di Vladimir, mesi fa, le avevano scritto delle popolazioni indigene maltrattate per esigenze di spettacolo, e le chiedevano di rifiutare di prestarsi a una rappresentazione della natura e dello spettacolo, falsa come una moneta fuori conio. Lei, l’ex parlamentare di Rifondazione, all’epoca, aveva risposto con toni epici. sarebbe andata all’Isola dei famosi, certo, ma come Lenin sul treno dei tedeschi: per denunciare le ingiustizie, per difendere l’ambiente, per fare lotta di classe e propaganda mediatica.

Sarebbe forse il caso di dire, ora che l’avventura è finita, che il reality della Ventura non è non potrà mai diventare l’Isola che non c’è delle utopie radicali, non le assomiglia nemmeno per sbaglio. Precisare che la presunta interpretazione «militante» dell’isola è ancora peggio di quella «mestierante», che almeno ha una sua dignità. Se Vladimir ci avesse raccontato che correva per la fama, e per accaparrare i duecentomila euro di premio ci avrebbe fatto sicuramente simpatia. Invece ci ha raccontato delle panzane astrali, e c’è già pronta la velina patetica sul fatto che metà della borsa sarà devoluta in beneficenza. Persino Liberazione ci vuole vendere una merce contraffatta. «Luxuria, partecipando e trionfando all’Isola ha spiegato a milioni e milioni di italiani che la realtà è diversa e che anche questa realtà deve godere dei diritti della presunta maggioranza». Ma va là.

Se una cosa è stata chiara fin da subito, invece, è che la drammaturgia un po’ logora dell’isola, per rinnovarsi, aveva bisogno di una foglia di vico para-moderna, para-progressista, pseudo-egualitaria. Lo show più citrullo e disimpegnato della tv italiana (e non ci sarebbe nulla di male) aveva bisogno come il pane di un alibi per rifarsi un pedigree finto-obamiano. E chi meglio dell’onorevole Luxuria? Vladimir è entrato nel reality della Ventura con l’abito del «raccomandato» fin dal primo minuto. Acclamata in ogni puntata dalla conduttrice come una novella paladina dei diritti civili anche se solo si metteva in testa un bigodino, invocata come maître-à-penser per ogni stitica opinione che avesse la lontana parvenza dell’impegno: «Sentiamo Vladimir», «Che brava Vladimir», «Grazie per questa lezione Vladimir», e sospiri pensosi di Luca Giurato per ogni frescaccia che diceva. Facevano quasi simpatia – malgrado le rampogne – quei concorrenti che erano stati tentati di apostrofarla in malo modo, di rompere il suo cursus honorum di designata alla vittoria per motivi di immagine, di invocare la bestemmia del politicamente scorretto.

Fra l’altro – in questo fedele al suo autoproclamato profilo «transgender» fino in fondo – chiusa dentro il meccanismo spettacolare del reality, Luxuria ha dimenticato presto per strada tutte le sue motivazioni pseudo-umanitarie. Si è infilata come un topo nel formaggio del rituale auto-etero-flagellatorio in favore delle interrogazioncine in mondovisione della Ventura, si è tolta la soddisfazione dell’alta sportineria, denunciando il presunto tradimento di Rossano Rubicondi. Gli onesti pensierini di Belen sulla fame nel mondo, di cui ora l’argentina dice di capire meglio la tragedia grazie alle privazioni patite sull’isola, acquisiscono la grandezza della riflessione filosofica, rispetto agli epigrammi di ossessione mediatica messi in mostra dall’ex deputato di Rifondazione.

Verrebbe voglia di dire a Liberazione: la vittoria di Vladimir, l’epifania delle sue treccine da finta-naufraga, l’esibizione della rino-plastica e del seno nuovo (generosa eredità della legislatura passata a Montecitorio), non sono il primo passo fuori dalla crisi, ma l’ennesima dimostrazione della crisi della sinistra. Dice Liberazione: «Vladimir ha tirato su gli ascolti e il nostro morale». Il che non esclude la depressione degli elettori e dei militanti comunisti: che speravano, almeno loro, di non arrendersi alla dittatura unica dell’Auditel.

Che glielo si debba ricordare noi, dalle colonne del Giornale, è quasi il colmo. Ma se l’Isola è un programma progressista, la Ventura una opinionista democratica, e Vladimir è una testimonial di sinistra – non c’è dubbio – noi siamo perlomeno bolscevichi.


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