Tutti obamiani, tutti obamizzati. Il primo effetto della vittoria e del ciclone Barack si abbatte sulle nostre teste, entra nelle nostre case, condiziona i nostri politici e non solo loro. C’è obamamania in tutto il mondo, e per fare un esempio che la dice lunga basterebbe Daniel Craig, il James Bond della quarta generazione cinematografica, che ieri non si è peritato di diffondere una dichiarazione semicomica, o involontariamente comica, che suonava così: «Dopo la vittoria di Barack Obama, penso che potrebbe essere giunto il momento per un agente 007 di colore». E certo è che già in casi come questo siamo colti da un moto di sospetto, non sappiamo dove finisca l’entusiasmo democratico e dove cominci, magari, una campagna mascherata (pardon, colorata) per promuovere con una dichiarazione il nuovo film dell’eroe di Ian Fleming, Quantum of solace.
Ma in Italia si va ben oltre. La cosa meravigliosa, ieri, mettendosi a spulciare per bene le agenzie, era verificare quanto strapaese si è obamizzato e in quanto poco tempo. Si potevano leggere perle come questa. Il sindaco di Vicenza, Achille Variati, che chiedeva: «Obama, ricordati la promessa di Lincoln». E quale sarebbe questa promessa? «Creare un governo del popolo, attraverso il popolo. Che valga per l’America e valga per Vicenza». Incurante di sfiorare il ridicolo, anche il presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi, prenotava l’agenda del nuovo leader mondiale: «Sarebbe fantastico veder atterrare l’Air Force One all’aeroporto Vespucci di Firenze, naturalmente rinnovato, per celebrare con Obama l’anno di Amerigo Vespucci».
Tutti invocano Obama e cercano in Obama quello di cui hanno bisogno: la lega del bowling il riscatto del birillo, il circolo della terza età una nuova speranza presidenziale. Rosa Russo Iervolino, quella che criticava Saviano per il suo Gomorra, era ovviamente «commossa per l’elezione di Barack». Il sindaco partenopeo ha pianto, e ha spiegato: «Per motivi di età appartengo a quella generazione che a Roma ha sostenuto le battaglie di Martin Luther King e ha protestato contro la detenzione di Nelson Mandela». Caspita. E tutti ovviamente citano Martin Luther King, tutti vanno a cercare un parente nero, anzi, «afroamericano», come ormai impone l’obamamente corretto. Incuranti del fatto che nella sua bellissima biografia, I sogni di mio padre, lo stesso Barack non si faccia nessun problema a definire «nera» la propria comunità, tutta una serie di neo-obamiani iniziano a dettare un nuovo galateo. Nella notte del voto il più obamisticamente corretto della televisione italiana era Gianni Riotta, che contestava a Bruno Vespa l’assenza del sostantivo «afroamericano».
Walter Veltroni è riuscito a far pubblicare dall’Unità, in formato poster, la foto del suo incontro ante litteram con Obama, avvenuto dopo l’intervento alla Convention in cui Barack non era nemmeno senatore nazionale. Fassino s’immagina che la vittoria «dia una spinta all’obiettivo dell’unità dei riformisti», così come Romano Prodi un tempo si era inventato che nel nome di Bill Clinton stesse nascendo l’Ulivo mondiale. Sono soddisfatti i liberali italiani di Stefano De Luca, che ovviamente si sentono gli interpreti più vicini al pensiero del leader democratico americano; parlano i consiglieri regionali Verdi Carlo Monguzzi e Marcello Saponaro per spiegarci che «Obama è verde» nel senso ecologistico. Riccardo Nencini, segretario del Partito socialista, si sente epicamente posto di fronte «alle stesse sfide di Obama». Marrazzo elogia il popolo americano, Sandro Bondi ha scatenato un putiferio – anche nel suo stesso schieramento – dicendo che lui vedeva «una grande somiglianza fra Obama e Berlusconi». Antonio Martino – lui sì, politicamente scorretto – lo ha invitato sarcasticamente «a presentarsi in Consiglio dei ministri con il volto dipinto di nero». Dario Franceschini, numero due del Pd, sospira «torna l’America che abbiamo amato». Rifondazione e il Pdci dicono che «è caduto un muro razziale», anche se, come spiega il segretario del Prc Paolo Ferrero, «temo che cambi troppo poco», e ovviamente in questo dissente dal direttore del suo quotidiano, Piero Sansonetti, «l’obacomunista» che dice: «Sono un obamiano sfegatato». La Melandri fa il giro dei talk show ricordando che lei, grazie alla sua doppia cittadinanza, ha avuto il raro privilegio di partecipare al comitato elettorale; Gianfranco Rotondi, segretario della Democrazia cristiana per le autonomie, gioisce perché Obama rappresenta «un fatto sociologico e spirituale destinato a cambiare le coordinate del mondo».
E quando finisce questo coro sterminato di neoapologeti, dopo aver trovato fascio-obamiani a CasaPound, catto-obamiani in Forza Italia e demo-obamiani nel Pd, ci viene il dubbio che il vero miracolo di Obama sia in questa capacità messianica e sincretica che gli ha permesso di stregare perfino i cento prezzemoli della politica italiana, per una volta tutti portati a identificarsi in un solo leader. Peccato non sia il loro. D’altra parte, siano convinti che se Obama avesse potuto leggere questo profluvio di conversioni, sarebbe fra il divertito e lo scettico. Esattamente come noi.
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