Luca Telese

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Luca Telese

Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Per Bertinotti il comunismo è diventato «indicibile»

Dunque per Fausto Bertinotti adesso il comunismo è diventato «indicibile». Il presidente della Camera, nonché leader di Rifondazione Comunista dal 1993 al 2006, nonché candidato premier della sinistra Arcobaleno, lo stesso uomo che andava nel salotto di Maurizio Costanzo a gridare «Sempre e comunque viva Cuba!», che si commuoveva per l’internazionale nei congressi, che salutava sempre a pugno chiuso, che quando doveva sintetizzare uno slogan diceva «Viva il Comunismo e la lotta di classe», che raccontava di «commuoversi per gli scioperi», lo stesso l’uomo che ci aveva raccontato del suo comunismo «ideale», poi «luxemburgiano», poi «eretico», e quindi «comunismo come tendenza culturale», ha partorito l’ultimo strappo: «Se fermi qualcuno per strada e gli dici: io sono comunista, quello non ti capisce». Da cui la suggestione dell’indicibilità come estremo congedo dal nome e dalla dottrina che ha segnato al sua vita.
Dopo quella di Gianfranco Fini, insomma, arriva un’altra revisione carpiata, estrema, spiazzante. Quella del leader di un’idea che arriva all’abiura dell’idea. Il paradosso degli ex custodi ereditari delle tradizioni politiche più forti del novecento, sopravvissuti al crollo del muro e alla fine della Repubblica sociale, che si ritrovano improvvisamente folgorati a Damasco, addomesticati dal Palazzo e – curiosamente in entrambi i casi – dalla presidenza della Camera.
Certo, anche i luoghi delle revisioni contano. Nell’ottocento le innovazioni politiche si producevano nelle tipografie, e il comunismo smise di essere un utopia per diventare una filosofia politica e un progetto di conquista del potere, sotto i tomi ponderosi del Capitale e grazie ad un pamphlet di perfetto marketing politico come «Il Manifesto». Il socialismo francese smise di essere un pensiero massimalista con un congresso, quello di Epinay, che incoronò la leadership di Mitterrand; la socialdemocrazia tedesca abbandonò la lotta di classe a Bad Godesberg: il Labour cancellò la sua clause Four a Blackpool, dopo dieci anni di dibattito e una settimana di votazioni che consacrarono Tony Blair. Fini ha rivelato il suo passaggio all’antifascismo nella festa giovanile di Atreju. E Bertinotti ha scelto di aggiornare la sua filosofia politica non in un pensoso seminario della sua fondazione – questo è il bello! – ma il una intervista anticipata del nuovo libro di Bruno Vespa Viaggio in una Italia diversa (il che a ben vedere è un colpo per Vespa, una mattonata per Rifondazione, e una scelta curiosa per lo stesso Bertinotti). Poi, sempre al conduttore di Porta a Porta consegna un altro barlume di analisi spietata sulla fine del governo Prodi: «Perchè tutto questo disastro rovinato addosso alla sinistra? Innanzitutto perchè, vista la nostra efficacia ci hanno considerato inutili. Il governo dell’ Unione – osserva l’ex presidente della Camera – ha colpito l’unica risorsa della sinistra radicale: il suo deposito di coerenza e credibilità».
Lo strappo produce una replica quasi amareggiata dell’attuale segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero che si produce in una citazione di Marx per constatare: «Il comunismo ripropone innanzitutto il tema dell’uguaglianza in una situazione in cui la disuguaglianza sembra diventata un fenomeno naturale». E la replica di Ferrero, a sua volta, produce una contro-precisazione dello stesso Bertinottti: «Sebbene non pensi che l’affermazione possa stupire qualcuno e neppure interessare particolarmente chi non mi conosce: sono comunista. Punto». Da domani, probabilmente, anche Bertinotti finirà per seguire il destino di tutti i leader usa e getta della seconda Repubblica. Come Achille Occhetto che diventò estraneo all’ombra della Quercia; come Armando Cossuta «espulso» dal suo Pdci, come Romano Prodi che ha rifiutato sdegnoso la presidenza del «suo» Pd. I tempi e i riti della politica italiana di oggi mettono le carriere dei leader in contrasto con i destini dei loro popoli, producono inevitabilmente il cannibalismo dei primi, o la diaspora dei secondi. Un volta Silvio Berlusconi disse a Bertinotti che «chi aveva letto Ma4rx era diventato comunista, mentre chi lo aveva letto e lo aveva capito era diventato liberale». Un’altra fu il leader del Prc ad attuare una revisione ironica, spiegando a Fabio Fazio che «Il comunismo, come l’Inter, è una bella idea realizzata male». Ma poi aggiungeva, forse per riequilibrare: «Per come è fatto il capitalismo, una comunista nascerà sempre». E’ vero, qualcuno ora ricorderà che Bertinotti aveva già un pedigree eterodosso: socialista psiuppino, e non nel Pci, uno rimasto nel Pds nei giorni della scissione. Ma è altrettanto vero che per far dimenticare queste «anomalie» di curriculum, l’ex leader di Rifondazione era diventato più comunista degli ex Pci, più radicale degli ex Dp, più utopista degli anarchici. Al congresso di Venezia disse: «Basta con il comunismo da manuale». E anche precisò: «Non ho nessuna intenzione di dismettere il comunismo». Chissà che cambiando idea non finisca per dismettere anche se stesso.


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Una risposta a “Per Bertinotti il comunismo è diventato «indicibile»”

  1. Avatar gio
    gio

    che dire su Bertinotti. Ha certamente il diritto di dire ciò che vuole. Però non si è ripresentato al congresso dopo aver combinato quel che ha combinato. Almeno questo.

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