Dunque la festa Democratica azzera la storia delle Feste dell’Unità, e riparte dai Pooh, all’insegna di una parola d’ordine chiara, discontinuità.
Non è un caso, e non può certo stupire. Né la scelta – per quello che probabilmente sarà l’evento di punta – del gruppo che un tempo, almeno per chi amava la musica impegnata, era simbolo di disimpegno e del pop ultraleggero. Né stupisce il fatto che l’esibizione della band sia strillata con una certa orgogliosa enfasi fin dalla prima pagina del sito del Pd: «Viaggio musico-teatrale per ogni età e gusto, dai Pooh ai Gogol Bordello». Fantastico. Cambiano i nomi e i simboli del Pd veltroniano e il messaggio forte che passa, dal dettaglio del nuovo logo a quello delle singole scelte nel cartellone, è l’idea di una assoluta normalità, della fine di un’anomalia che vedeva la festa come una proiezione di identità, come la rappresentazione di un mondo. Potrebbe essere la festa Democratica, dunque, come qualsiasi altra festa. Potrebbe essere Sanremo o il premio Almirante: questa volta se guardi il programma non ti accorgi di particolari differenze.
Anche il resto del cartellone non è molto dissimile. Niente gruppi di tendenza, nemmeno i nuovi fenomeni dell’underground impegnato come gli Offlaga Disco Pax, la band emiliana giunta alla ribalta con il loro «socialismo portatile» e rilanciata anche nel film sugli anni di piombo di Giorgio Pannoni, Il sol dell’avvenir. Figurarsi: troppo militanti, troppo di nicchia. A Firenze si vedrà invece Max Pezzali, ex 883, band che un tempo a sinistra era considerata un indigesto intrattenimento per paninari. Non ci sarà nemmeno un cantautore, non dico Francesco Guccini, ma nemmeno Ivano Fossati, quello che all’Ulivo regalò la sua Canzone popolare. E non ci saranno nemmeno grandi eventi come quel memorabile concerto in cui la deputata diessina Elena Montecchi, serioso questore della Camera, ma in un’altra vita manager rock, riuscì a portare in Emilia Romagna nientemeno che gli U2 di Bono Vox.
A Firenze, quest’anno, i nomi di strillo sono Max Gazzè e i giovanilistici Tiromancino, niente a che vedere con i tempi in cui Edoardo Bennato celebrava il suo strappo con i manager del Pci mettendo l’invettiva in musica: «Gli impresari di partito/ mi hanno fatto un altro invito/ e hanno detto che finisce male/ se non vado pure io/ al raduno generale/ della grande festa nazionale!». Macchè. Qui comandano il caso e la classifica, e sono davvero Solo canzonette.
Sembrano finiti anche i tempi in cui Walter Veltroni si divertiva a costruire eventi sui palchi, come quando per la sua prima campagna a sindaco si tolse la soddisfazione di far ricongiungere i due amici/nemici della canzone d’autore, italiana, Francesco De Gregori e Antonello Venditti. Adesso anche Jovanotti sembra troppo impegnato per la festa (questa estate ha confessato ad A – il settimanale diretto da Maria Latella – che quando ha appreso della candidatura nelle liste democratiche di Marianna Madia gli è passata la voglia di votare Pd).
Nel Partito democratico criticano i comici girotondini e le loro performance a piazza Navona. Ma intanto anche loro arruolano i comici, di successo e guardacaso proprio l’ottimo Maurizio Crozza, l’inventore della parodia principe del veltronismo, il leggendario Ma-anche che tanto ha furoreggiato in campagna elettorale. Speriamo che non si riferissero a questa imitazione, gli organizzatori, quando scrivevano sul sito dello spettacolo La torre delle meraviglie: «Le meraviglie in questione sono tutte italiane, portate in scena con monologhi, personaggi, storie e canzoni che raccontano il nostro tempo, i nostri ricordi ed il futuro tragicomico che ci aspetta» (sarebbe troppo). Eppure anche questo pare un classico dei nuovi tempi. Si passa disinvoltamente dagli artisti organici alle contestazioni in casa, quando Beppe Grillo l’anno scorso si ritrovò a fare la prima tappa dopo il big bang dell’8 settembre proprio alla Festa dell’Unità di Milano (e giù palate di fango e vaffa per i diessini).
No, in questo programma un’idea di partito non c’è più, a meno che l’ultimo brandello di identità militante non sia affidata al rock demenziale degli Skiantos (annunciati da una foto del loro leader, Roberto «Freak» Antoni con il rotolo della carta igienica in mano), o al dadaismo progressista di Elio e le Storie Tese.
Il calendario dei dibattiti, che potrebbe riequilibrare il tiro, arriverà mercoledì prossimo. Ma Lino Paganelli, il responsabile feste, ha già annunciato una discontinuità che ha fatto molto discutere, non ci sarà il tradizionale comizio conclusivo del segretario del partito, quest’anno, ma una meno celebrativa intervista pubblica. E lo stesso Veltroni, che in un primo momento era stato addirittura dato per assente, ha spiegato: «Ci sarò». Basterà questo per far rivivere quella miscela irripetibile che era l’anima delle feste, i militanti che friggono le salsicce, le vignette del Bobo di Staino, le gare del tappo con la sottoscrizione a premi? Lo scorso anno a furoreggiare erano già i primi segni di discontinuità, come le aree date in concessione agli autosaloni o il casinò dei croupier democratici. Paganelli, dirigente non privo di ironia, ci scherza anche sopra: «Per me, che musicalmente sono un reperto storico, il testimone dell’impegno è affidato ai Wailers». Ovvero alla band che fu di Bob Marley, la cosa più fricchettona che si possa immaginare nel panorama musicale.
Quanto ai Pooh, un gruppo notoriamente di destra, la cosa divertente è che sono loro a provare un certo imbarazzo ad essere associati con la kermesse di Firenze. Lara Cecere, manager della band, rintracciata ieri, spiegava che gli interessanti sulla vicenda preferiscono non parlare e precisa: «Quella di Firenze è solo una della tante date del loro tour… Non c’è nessun collegamento tra il gruppo e il Partito democratico». Quei mattacchioni dei Pooh. Almeno loro più pop che post.
Il rinnovamento? Scippare il concerto ai Pooh
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Una risposta a “Il rinnovamento? Scippare il concerto ai Pooh”
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Giulio Corti va in ferie, in Francia.
Arrivederci a settembre.
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