Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Adinolfi e la deriva del Pd

Scusi Adinolfi, ma lei ce l’ha con Veltroni?
Assolutamente no.
Da due mesi chiede la sua testa.
Guardi, conosco Veltroni da anni. Ho simpatia umana per lui. Non è una questione personale, ma un problema politico.
Se le fosse antipatico cosa farebbe?
Sono convinto che anche lui sia consapevole che se si continua così, fra un anno arriveremo alla disfatta. Le spiego perché.
Mario Adinolfi è l’unico membro del comitato nazionale del Partito democratico che dopo le elezioni abbia chiesto ufficialmente le dimissioni del segretario del partito. Ha poco più di 35 anni, è un blogger molto noto per la sua verve polemica, ha una corporatura possente, vagamento ferrariana. Alle primarie corse contro Veltroni, alle politiche è arrivato primo dei non eletti del Lazio e l’ex sindaco di Roma lo ha lasciato a terra optando per lo stesso collegio (lasciando posto, altrove, all’onorevole Mantini, un molto più anonimo e più docile margheritino). Nell’ultima riunione del massimo organismo direttivo del Pd, Adinolfi è arrivato a chiedere che Veltroni se ne andasse. La maggior parte dei giornali non l’hanno nemmeno scritto, la riunione è finita dopo il suo intervento. Così Adinolfi ha riunito la sua corrente all’hotel Nazionale, ha ribadito la linea e spiega: "Adesso diamo fastidio, tra pochi mesi ci daranno ragione".
Adinolfi, torno a chiederlo: cosa avrebbe dovuto fare Veltroni?
Avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di una sconfitta che c’è stata ed è stata molto più dura di quello che si dovrebbe far credere.
E questo avrebbe cambiato le cose?
Avrebbe permesso un’analisi delle cause profonde che l’hanno prodotta, un’analisi che adesso purtroppo è del tutto assente. Il Pd non discute.
Veltroni si è trovato sulle spalle la pesantissima eredità di Prodi. Lo nega?
Non lo nego affatto. I due anni di governo sono stati devastanti. Peccato che nessuno, lui compreso, in questo partito lo abbia detto.
Era impossibile, ovviamente: voleva il suicidio?
Però è quello che dopo il voto hanno detto: è colpa di Prodi. Allora anche quello è un suicidio, non trova? Ripeto, io non voglio processi. Bisogna pensare alle cause, sennò la rivincita è impossibile.
E’ così pessimista?
Chiunque abbia girato le sezioni del Pd sa che questa è l’impressione prevalente dei militanti. Quella di una sconfitta ir-re-di-mi-bi-le! Ma non basta.
C’è altro?
La sconfitta di Roma dove la mette? Veltroni aveva vinto contro Alemanno con il 70%. Poco più di due anni dopo, quello vince con il 9% di stacco. Questa impresa di ribaltamento dvela la sconfitta di un modello, più che di un candidato.
E qual era il limite del modello Roma?
Se devo sintetizzare, direi il rapporto legittimante con i poteri forti della città. Che poi è lo stesso difetto di oggi.
Ovvero?
Invece di costruire una nuova classe dirigente cogliendo l’opportunità dell’opposizione per reiventarsi una politica, si cerca dal governo una legittimazione a permanere.
Quindi non è questione di una legislatura?
In Inghilterra il blocco sociale della Thatcher ha governato 15 anni.
Non crede che il Pd si riprenderà prima?
Se non cambia rotta, non credo. Anzi, il problema sono le europee.
Non crede che il partito recupererà?
Sta scherzando? Molti voti andranno a Di Pietro, che fa la voce grossa. Un’altra fetta torna alla Sinistra Arcobaleno, per convinzione o perché il voto utile non c’è più. Un’altra fetta di centristi credo che dirà: il governo sta lavorando, facciamolo governare.
Morale della favola?
Se a Roma c’è stata una Caporetto, a Bruxelles potrebbe esserci una disfatta. E le polemiche sul gruppo europeo ci dicono che il partito, in questo scenario, potrebbe persino dissolversi.


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