Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

La Russa: «Non sono affatto un capo»

Nel giorno in cui diventa reggente di An, Ignazio La Russa abbassa i toni, minimizza il ruolo, ostenta saggezza: «Non sono e non sarò mai il successore di Fini, non sono un capo, solo un primus inter pares che può contare su un gruppo dirigente corale». E poi: «An non si scioglie: continuerà a fare iscritti anche oggi. Non entra in casa d’altri! Contribuisce a farne una nuova nel Popolo della libertà». Eppure il salto è grosso (anche il neo-leader lo sa) così come l’accoppiata che lo vede in un ministero-chiave del governo e nella cabina di regìa del secondo partito. Gli chiedi se non sia troppo potere. E lui: «Mavaaaaà! Oggi il problema è uno solo. La Roma a un punto dalla mia Inter».

Ministro La Russa, faccia un gioco che ai politici di solito non riesce.
«Quale?».
Da ragazzo ha mai pensato che sarebbe diventato l’uomo delle Forze armate a Palazzo Chigi?
(Ride) «Ehhh… Mai. E mi ricordo bene perché».
Allora raccontiamolo.
«Ha presente il 1972?».
L’anno del massimo storico del Msi?
«Giusto. Ma anche l’anno in cui il procuratore Bianchi D’Espinosa mette il partito in stato d’accusa e minaccia di scioglierlo per decreto».
E lei?
«Io allora militavo nel circolo Ezra Pound, dove fino ad allora discutevamo – pensi! – se definirci gentiliani o evoliani».
Era un duro?
«Facevo politica in piazza, il che – come sa chiunque ha vissuto quegli anni a destra o a sinistra – comprendeva anche il confronto fisico. Ma non sono mai stato un picchiatore».
E dopo d’Espinosa?
«Eh, eh… ho un preciso ricordo. Ci eravamo dati appuntamento, con un gruppo di ragazzi del Fronte in una baita, nello chalet di uno di loro».
Per fare cosa?
«Non per mettere le bombe, certo, mai mi è passato per la testa! Ma per affrontare una possibile clandestinità, sì».
Cosa vi diceste?
«Se ci sciolgono ci vediamo in montagna».
E ora è ministro della Difesa!
«Me l’avessero detto allora l’avrei considerato di dubbio gusto».
Facciamo un salto: il giorno della prima grande sconfitta di Fini.
«Al congresso di Rimini. Rauti diventa leader».
Lui sembra finito e lei…
«Mai pensato di mollarlo, neanche per un minuto».
Forse tentato?
«Guardi, la tentazione venne da me, nei panni dell’onorevole Mennitti, che può testimoniarlo ancora».
Cosa disse il vice di Rauti?
«Ti sei battuto come un leone, ma Fini ha perso. Volta pagina, vieni con noi».
E lei cosa rispose?
«Ti ringrazio molto. Ma il fatto è che voi durerete poco».
Chissà se ne era convinto…
(Ride) «La cosa divertente è che quasi convinsi lui. Ma faticai di più a convincere i miei!».
Il suo momento di maggiore disgrazia è stata la degradazione subita dopo il famoso infortunio della «Caffetteria»: il Tempo pubblicò una conversazione informale…
(Sospirone) «…Che fu malamente travisata come un complotto anti-Fini!».
E non lo era?
(Serio) «Mavaaaaà! È stato il può grosso equivoco della mia storia. Parole effettivamente pronunciate furono tramutate nel contrario di quel che erano. Capii che al di là del dolo – che non c’era – dovevo pagare per il danno che avevo arrecato al partito».
Accettò di essere fatto fuori dalla sua Lombardia!
«Il momento più triste della mia vita. Ma avevo fatto un danno, e sono abituato a prendermi le sue responsabilità».
Mi racconti un’altra scelta difficile della sua carriera.
«Rinunciai a fare il ministro, che le pare?».
O non è vero o è un gesto senza precedenti….
«Eppure è così. Mi proposero di prendere il posto del mio amico Gasparri. Chiesi due minuti di tempo, chiamai lui, e gli dissi: “Maurizio, non lo faccio neanche morto”».
Siete sempre il gatto e la volpe, voi due?
(Ride) «Vespa ci chiama Castore e Polluce. Calza bene».
E ora una storia si scioglie?
«Nemmeno per sogno. Io non voglio essere, e non sarò, un commissario liquidatore».
E come si definisce allora?
«La levatrice di un nuovo progetto. Ma lei si rende conto che il Popolo della libertà è la prima fusione di partiti della storia italiana che ha preso più voti di prima?».
E quindi?
«Troveremo le forme inedite di un progetto politico che costruisce una nuova casa, più grande della precedente».
Ora sembrate uniti.
«Senta, Gasparri che duetta con Alemanno, io che faccio i manifesti per Gianni da Milano… Non sembriamo, siamo».
Che sarà del suo esegeta satirico Fiorello, ora che lei assume un ruolo marziale?
«In che senso?».
Manderà i parà in Radio al prossimo digiamolo?
«Ah, ah, ah… Guardi, intanto lo costringerò a un supplizio. Vuole satireggiare su me? Premetta il suo vero nome. Lo scriva come lo dico io: Rosààààrio».
Questo la mette al riparo dalla satira di Fiorello?
«Ma si rende conto? Le truppe, il partito… Gli sto facendo il miglior regalo che si può fare a un comico».
Quale?
«La possibilità di ampliare il repertorio. Le pare poco?».


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4 risposte a “La Russa: «Non sono affatto un capo»”

  1. Avatar Stefano
    Stefano

    Beh, non mi pare quella che si dice un’intervistona…

  2. Avatar Stefano
    Stefano

    E nemmeno un gran dibattito…
    Primi effetti del nuovo inciucione?
    Disinteresse assoluto della ggente per La Russa?
    Disinteresse assoluto delle persone per il sito Telesiano?
    Ai posteri…

  3. Avatar Stefano 1
    Stefano 1

    Mi spiace Stefano, che tu non sia esaltato dall’intervista del nostro Luca al grande Ignazio “diciamo” La Russa.
    Io l’ho trovata esilarante e, soprattutto, ben intonata alla nuova marmellata italica che sta venendo avanti velocemente.
    Troppo velocemente…

  4. Avatar Stefano 2
    Stefano 2

    Cari Stefani, forse ora che Ignazio nostro sta pensando di riempirci di carri armati bi partizan per difenderci dalla piccola percepita criminalità, forse il dibbattito si anima…

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