E’ vero: Francesco Rutelli, che si illudeva di fare il bis a Roma, non è una Cinquecento e neppure il festival di Sanremo, o lo Zecchino d’oro, o il Cocco Bill di Jacovitti, né ‘il Borghese’ o ‘l’Avanti!’. Attenzione, però, a spiegare solo con la politica questa sua storica sconfitta. E se invece noi italiani fossimo stufi dell’ Italia del bis e dei remake che stanno a poco a poco guastando anche la memoria degli originali, in un cortocircuito di passato e presente?
Variante raffinata del giovanilismo che, dietro la pretesa dell’ intramontabilità, sempre nasconde un ritratto di Dorian Gray, l’Italia del bis è un’Italia travestita; è l’orso addomesticato che viene malinconicamente esibito nell’habitat che gli era stato naturale e che lo aveva visto trionfare per forza e per imprevedibilità. Pensate allo Scudo Crociato di De Gasperi. Non è forse vero che quello di Pizza e quello di Casini più che un danno a se stessi fanno un danno a De Gasperi? E tutti questi partiti comunisti che in Italia nascono, muoiono e ancora rinascono, non stanno rovinando anche il ricordo del partito comunista di Enrico Berlinguer? Simboleggiando il presente mediocre, avvelenano il passato glorioso. Insomma, una cosa è la scoperta dell’orso libero e selvaggio e un’altra cosa è il ritorno dell’orso vecchio e sdentato.
Certo, Rutelli si sarebbe attrezzato, avrebbe sommato saggezza ed esperienza: non è sicuramente un orso spelacchiato. Ma proprio perché è un’anima forte capirà la lezione dell’originale e della copia: non è vero che uno strumento, in passato collaudato con successo, vale allo stesso modo in qualsiasi epoca. Cambia la realtà e cambiano i mezzi e dunque gli uomini che possono interpretarla, governarla e domarla. E non è questione di età. E’ proprio il bis che non funziona: "Paganini non ripete". E Petrolini "bene bravo bis" diceva tagliente, prendendo in giro la mediocrità ripetitiva del "teatro di successo". I virtuosi del melodramma non concedono il bis. Neppure Bob Dylan li concede. E Totò, nel ruolo del pittore Scorcelletti, parodiava l’artista che copia e si copia: "L’imitazione perfetta di un capolavoro rende inutile l’orginale". E va bene che viviamo nell’epoca della riproducibilità, ma Picasso non rifece Guernica. E Dante Alighieri non scrisse la ‘Divina Commedia 2’. Vi immaginate Michelangelo che, convinto dai suoi committenti, scolpisce un secondo Mosè "visto che la prima volta è andato così bene"?
Al di là dei risultati economici, personalmente mi rattrista il rifacimento della “verde nera” della Pelikan (tedesca, ma amatissima in Italia) che spuntava dal taschino di mio padre. Allo stesso modo, la Cinquecento sarà anche un successo commerciale, ma ormai è solo quattro ruote e un motore. Quel nome cifrato non rimanda a null’altro, non riscalda più il cuore, non è più il simbolo di una felice giovinezza italiana, dell’ auto come voglia di leggerezza.
Eppure, a ottimi giornalisti e ottimi editori è venuto in mente di riportare mestamente in vita ‘Il Borghese’ senza Longanesi, e il ‘Candido’ senza Guareschi. Per non parlare dei mille tentativi di resuscitare ‘l’Avanti!’. Sono bis che ricordano la befana, che è il bis dei regali, la festa che porta via le feste e sulla quale sempre dolorosamente incombe il carbone. Una volta De Mita, durante un incontro pubblico, mi disse: "Merlo, tu spingi la tua coerenza al punto da scrivere da dieci anni ogni giorno lo stesso articolo". Mi spiazzò. Mentre gli rispondevo pensavo: "E se avesse ragione?".
Ognuno di noi svolge il suo ruolo ossessivamente. Cambiare ruolo è un dovere per tutti. Ma lo è soprattutto per i politici che non possono avere in testa sempre lo stesso problema, ma devono dare la testa ai problemi (che cambiano più in fretta di loro). Perciò, a volte, mettersi da parte è la maniera più intelligente di salvare se stessi. Alessandro Manzoni ha scritto un solo libro.
Si sa che in televisione Renzo Arbore non sbaglia un colpo: pur di non ripetersi si astiene. Pochi ricordano, fortunamente, che tentò, con Gianni Boncompagni, la riedizione del mitico programma radiofonico ‘Alto Gradimento’, un successo che era durato dal 1970 al 1976. Ebbene, le sette puntate del 1998 furono un flop così pungente che lo abbiamo tutti rimosso. Non per il rispetto che Renzo Arbore certamente merita. Ma per salvare la nostra memoria.
Ci sono sconfitte che valgono più di una vittoria perché insegnano, aprono gli occhi, ingentiliscono, migliorano. Accade in tv, dove non c’è un remake che sia andato bene; solo disastri: da ‘Portobello’ sino al Maigret con Castellitto. Anche al cinema l’elenco sarebbe lunghissimo. Prendiamo solo quell’atto di spavalda intelligenza, quell’opera di finissimo ingegno che è stata l’accavallamento di gambe nel film ‘Basic Instinct’. Ebbene, quando Sharon Stone lo ha rifatto, e non solo in ‘Basic Instinct 2’, ma più recentemente davanti agli studenti della Sorbona, le sue gambe erano diventate uno dei tanti tristi spettacoli del ‘come eravamo’, come un concerto di Little Tony, o come Shapiro che, tutto imbiancato, canta ‘Eccola di nuovo’.
Trasformiamo dunque la sconfitta di Rutelli in una vittoria dell’intelligenza. Altri due sindaci, Enzo Bianco e Leolouca Orlando, che sono stati primi cittadini irripetibili di Catania e di Palermo, gabbiani che volavano alto, forse devono essere grati agli elettori che li hanno salvati dal destino del gabbiano di Baudelaire che, nella replica, vola basso e diventa trastullo feroce dei marinai che lo pungono, gli infilano la pipa nel becco, lo deridono…
A pochi giorni dalla nascita del (nuovo) governo abbiamo più di un fondato sospetto che il ritorno dell’orso spelacchiato sia il destino del più tenace dei remake italiani, l’ autoremake, il sequel Silvio Berlusconi che, con la forza dei numeri, potrebbe in teoria confezionare il governo migliore della storia, chiamare nell’esecutivo tutti i protagonisti della vita italiana fuori dalle trappole parlamentari. E invece sarà un bis pieno di bis, dal maiale al guinzaglio di Calderoli al solito borotalco di Letta… Insomma, il carnevale del remake deve ancora cominciare. Tocca alla destra riprodurre con forza tutte le ossessioni di Berlusconi. Ecco: a Roma non è stato sconfitto solo Rutelli, ma l’Italia dei replicanti. Perciò la campana di Rutelli suona già per Berlusconi.
Francesco Merlo, la Repubblica
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