È stato designato per uno dei ministeri più importanti, la Difesa. Ed è anche l’uomo che Gianfranco Fini vuole mettere a coordinare Alleanza nazionale, se – come pare ormai certo – lui andrà a Montecitorio. Ma se chiedi a Ignazio La Russa cosa si prova ad essere capo-delegazione al governo e nuovo custode di An, lui ti risponde secco: «Non parlo né delle questioni organizzative del partito né del totogoverno. Ci sono molte cose più importanti di cui discutere, che delle poltrone…».
Ad esempio, onorevole La Russa?
«Il ballottaggio per Roma, dove Alemanno può vincere e quel che ne consegue. E poi il cambio di passo che porteremo al governo».
Ovvero?
«La stupirò. Credo che questa volta toccherà a noi farci carico delle bandiere abbandonate dalla sinistra radicale che non è entrata in Parlamento».
Ha ragione, mi stupisce. Ma inizi dalla cosa più facile, Roma.
«È semplice. Fino a questo pomeriggio stiamo col fiato sospeso. Ma è già un grande successo essere testa a testa in questa sfida».
Non credeva nella possibilità di sfidare Rutelli?
«Dico che Gianni – che solo tre mesi fa era una delle ipotesi insieme a Gasparri e la Meloni – è stato bravissimo a rischiare e a dare l’anima».
Il centrosinistra si mobilita per il ballottaggio in nome dell’antifascismo.
«Una sciocchezza che prova come stiano raschiando il fondo del barile. Secondo me non ci credono nemmeno loro».
Ci sono i manifesti sui muri di Roma.
«Sì, li ho visti. Sono grotteschi, soprattutto contro un uomo che a Fiuggi ha rotto anche con la propria famiglia, e con il suo maestro, Rauti, perché credeva nel progetto di An».
Ci sono dei moderati che si chiedono: è pericoloso dare sia Palazzo Chigi sia la Capitale allo stesso schieramento?
«Questa è un’altra balla dei giornali! Quando nel 2006 l’Ulivo vinse sia Roma con Veltroni sia il governo nazionale con Prodi, nessuno di noi gridò al colpo di Stato».
Quali sono i messaggi vincenti di An per Roma?
«L’attenzione alla sicurezza. Alle periferie. E anche la scelta simbolica di Alemanno di commemorare il 25 aprile con la visita al mausoleo di Salvo D’Acquisto».
Lei dove è andato quel giorno?
«Vede? Anche lei è caduto in uno stereotipo… Le è venuto il tic. Ma la domanda sarà legittima solo quando chiederete a D’Alema dove è andato il 4 novembre, cosa fa quando si commemorano le foibe».
Che fa, torna all’anticomunismo ora?
«Al contrario, voglio dirle questo: la nostra vittoria e il nuovo governo nascono dalla fine della politica anti. Non siamo antiveltroniani, e non siamo più nemmeno anticomunisti. Anzi…».
Che vuol dire anzi?
«Intanto mi spiace che non siano entrate in Parlamento persone di cui non condivido nulla sul piano politico, ma che stimo sul piano personale per la serietà che hanno dimostrato…».
I nomi, i nomi…
«Nomi come Fausto Bertinotti o Franco Giordano. O il giovane Migliore, che conosco come capogruppo e persona seria. Penso a Vladimir Luxuria…».
Scusi, onorevole La Russa, ha detto proprio Luxuria?
«Pensa che stia scherzando? A parte le sue preferenze sessuali, di cui non mi importa nulla, da deputata, a Montecitorio, ha lavorato con scrupolo e spirito costruttivo».
Cos’è, galanteria verso gli sconfitti o si sta innamorando dei comunisti dopo una vita passata a combatterli?
(Ride). «Piuttosto mi pongo un problema politico. Vede, la Sinistra arcobaleno, anche se con una visione ideologica che ovviamente non è la mia, rispondeva ad alcuni problemi di cui ora ci dobbiamo fare carico noi: non solo An ma anche il Pdl».
Ma come, non c’è il Pd?
«E secondo lei il Pd può rispondere ai problemi sociali meglio di noi? E perché mai, scusi?».
Intanto perché loro dicono di volerlo fare…
«Le faccio solo un esempio. Predicano la meritocrazia, e poi mettono capolista nella mia regione un figlio di papà…».
Per caso sta parlando male di Matteo Colannnino?
«Mannò, lo conosco pure. Bravo ragazzo, per carità… Ma dal punto di vista politico il suo unico merito è quello di essere figlio di un industriale miliardario che ha aiutato economicamente la sinistra».
Adesso sta parlando della scalata della Telecom.
«Massì, vede, è un simbolo perfetto per spiegare il grande paradosso di questo Paese: votano Pd gli industriali che hanno il cuore a sinistra e il portafoglio a destra. Ecco perché dei lavoratori dobbiamo occuparci noi, se possibile, ancora più di prima. Così come dei poveri».
Ha l’aria di essere un progetto di scavalcamento a sinistra.
«Un esempio concreto, così si capisce: la sicurezza sul lavoro».
Classico cavallo di battaglia di Rifondazione.
«Appunto. Un problema giusto affrontato da loro con strumenti sbagliati. Sa cosa mi ha colpito più di tutto nella strage di Molfetta in Puglia?».
Cosa?
«Che lì il padroncino muore soffocato nella cisterna assieme ai suoi operai. Se lei usa la vecchia lente della lotta di classe, in una storia così, e si immagina il padrone sfruttatore, non capisce più nulla».
Non sempre morire, anche eroicamente, cancella gli errori.
«Certo. Ma qui l’errore, e la causa di tante terribili morti, più che il desiderio di sfruttamento di chi immagina il padrone cattivo, è un problema di cultura e di soldi».
Significa che nella sua An le morti bianche entrano in agenda?
«Al primo posto. Vede, anche lì è un problema di sicurezza. Di tutele. Di diritti. Così come combattiamo la delinquenza dobbiamo comunicare ai cittadini che combattiamo anche i motivi per cui – per negligenza o incultura – non si tutelano i diritti dei lavoratori».
Nel 1994 una frase di Previti – «non faremo prigionieri» – fu considerata un… manifesto programmatico.
(Sorride). «La prima cosa che deve essere chiara è che noi non andiamo al governo per tagliare teste, ma per cambiare il Paese».
La metto alla prova. Se io le cito il nome di Santoro lei che cosa mi dice?
«Che è un giornalista bravissimo».
Se mi promette che non scherza…
«Mannò! Sono serissimo, per due motivi. Il primo: sono convinto che Santoro non ci abbia fatto perdere un voto. È così trasparente, nella sua scelta di campo, che conferma i suoi, ma non sposta di sicuro gli incerti. E poi…».
Cosa?
«È fazioso, certo. Ma come qualità professionale lo considero fra i più bravi. Guai a pensare di eliminare lui, o qualcuno. E lo stesso vale per Floris».
E se le dicono che la destra in Rai è discriminata?
«Dico che se si vuole il pluralismo non bisogna sottrarre ma aggiungere. Poi, se finalmente salta fuori un Santoro di destra, altrettanto bravo, mi auguro che qualcuno gli dia un programma».
Ce l’ha una nuova parola chiave, al governo e nel partito?
(Sorride). «Sì, è questa: equilibrio».
La Russa: «Siamo noi il partito del lavoro»
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