Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Menichini: «Il ballottaggio è un’elezione a se stante, l’elettorato cambia»

«Un venticinque aprile di lotta antifascista»? In un primo momento, Stefano Menichini, direttore di Europa, intellettuale di punta del neonato Partito Democratico, sorride con una punta di amarezza. Poi articolando il ragionamento, spiega perché l’ideologia è destinata ad avere un ruolo anche nel ballottaggio per il comune di Roma e nell’opposizione al governo Berlusconi.
Menichini, l’antifascismo è rientrato sulla scena politica?
«Per prima cosa le racconto un aneddoto».
Sono tutt’orecchi.
«Nel 1993, io ero ancora al Manifesto, giornale in cui sono cresciuto…».
L’anno del ballottaggio fra Rutelli e Fini?
«Esatto. Il mio giornale, per 15 giorni, tutti i giorni, uscì con lo stesso identico titolo di prima pagina».
Che era?
«All’armi siamo fascisti».
Lei a «Europa» ha perso l’occasione per fare il bis?
«Guardi, il problema è un altro».
Quale?
«Intanto le premetto che io considero una sciagura il fatto che gli sforzi di Ciampi prima e di Napolitano poi, per costruire una celebrazione sostanzialmente bipartisan stiano andando in fumo…».
Però non è stato anche il moderato Rutelli a battere questa grancassa?
«Ho visto che ieri ha detto “Sono tornati i missini…”. Mi rendo conto che forse ci sia da parte sua l’esigenza di mobilitare, ma anche la battuta di Fini che lo ha definito “salma politica” lo ha in qualche modo autorizzato a cambiare passo».
Cioè a un uso politico dell’antifascismo contro Alemanno.
«Guardi, detto francamente, io non credo che Alemanno sia un candidato fascista».
Se vincerà lui, come titolerà?
«Direi che ha vinto un uomo di destra, punto».
Sento che c’è un però?
«…È innegabile che dietro di lui, e con lui, vincerebbe anche una destra molto peculiare, quella romana».
Che intende per peculiare?
«Una destra che è divisa fra le pulsioni affaristiche e quelle aggressive. Una destra romana peggiore di quella che ha conquistato l’Italia».
Lo dice così perché c’è il ballottaggio per Roma.
«No, affatto. A Roma c’è sempre qualche cosa che salta fuori, penso ieri alle parole di Romagnoli o a Storace, come se a Roma il processo di costituzionalizzazione della destra fosse più lento che altrove».
Voi ne avete scritto su «Europa».
«Avevamo una rubrica dedicata a questi nuovi… impresentabili».
Sarà un 25 aprile ultra-antifascista, dunque?
«Il mio timore è che diventi il 25 aprile del V-day, che prevalga su tutto il grillismo».
Cosa non le è piaciuto di Alemanno?
«Per me ha giocato sporco sullo stupro della stazione».
Qualcosa le è anche piaciuto?
«Ha accettato la sfida quando sembrava persa».
E Rutelli cosa ha sbagliato?
«Ha patito l’election day. L’ondata di destra lo ha un po’ travolto».
La mossa azzeccata, invece?
«Nel ballottaggio ha provato a riportare al centro della sua campagna i temi della città».
Lei crede efficace il richiamo all’antifascismo militante?
«Era inevitabile che lo facesse per chiamare a raccolta la sinistra, e in particolare quella radicale, che non lo amava e lo guardava come un corpo estraneo già nel 1993».
E secondo lei chi vince, in questo 25 aprile elettorale?
«Ehhhh…».
Non è un pronostico chiaro.
«Il ballottaggio è un’elezione che ha una storia a se stante».
E il vantaggio del primo turno?
«Vale relativamente, perché cambia il corpo elettorale».
E quindi?
«Mi dispiace solo che entrambe le parti siano trascinate a interpretare politicamente una giornata in un modo che distrugge la possibilità di una festività condivisa».


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