Con il fratello Carlo, ha inventato un genere cinematografico, «il vanzinismo». Tra i due è lui – Enrico – che scrive e produce. Carlo gira. È figlio d’arte. Ha iniziato da aiuto regista del padre, il grande Steno. Sulla scrivania del suo ufficio custodisce gelosamente la foto di due bambini boccoluti (loro due!) con l’Alberto Sordi – costume di scena e berretto – di Un americano a Roma: indimenticabile successo del padre (film culto dell’identità capitolina nel mondo). Romanista sfegatato, è noto al pubblico come commentatore giallorosso a Controcampo. Maestro del cinema di cassetta, si autodefinisce «Individualista per vocazione e longanesiano per scelta». Conosce bene sia Walter Veltroni che Silvio Berlusconi (ci ha lavorato), e forse per questo è la persona ideale per raccontare la sfida di Roma, le elezioni politiche, l’Italia di «Berlusconi III».
Vanzina, confessi: che ha votato alle elezioni?
(Sorriso) «Manco morto. Posso svelare che, come molti, avendo cinque schede a disposizione, mi sono divertito con il voto disgiunto. Lascio a voi indovinare quale».
Cultura di riferimento?
«Una solida tradizione familiare socialista».
Eppure il «vanzinismo» è stato un genere idolatrato a destra e snobbato a sinistra.
(Ride) «Nell’arte essere snobbati prima è la condizione per essere riabilitati poi…».
Un anno fa con Carlo avete scritto un film, 2061 un anno eccezionale, che prevedeva il trionfo della Lega.
«Si vede che abbiamo più fantasia dei sondaggisti…».
Un altro film, Spqr costituisce un’idea di romanità nel cinema popolare.
«Di solito i registi non romani dipingono i romani come cafoni, tendono allo stereotipo, non conoscono le sfumature di un’identità complessa».
Esiste o no l’egemonia romana sul cinema italiano?
«La ribalto così: per anni molti film nostri faticavano al Nord e la Lega perdeva».
E oggi?
«Nell’anno simbolo dei Cesaroni, il Carroccio trionfa!».
Se deve raccontare Roma ad un collega straniero con una immagine cosa gli dice?
«È come Cinecittà. Una infinita sovrapposizione di tempi e architetture: il barocco e i fori imperiali, il romanico e i quartieri umbertini dei piemontesi, il razionalismo fascista, l’Eur e Prati, che copia la Parigi di Napoleone III».
Un Eden?
«Putroppo manca il XXI secolo. Io, che per lavoro ho la fortuna di girare l’Europa, patisco molto il raffronto con le capitali europee, dove avverti la voglia di lasciare tracce».
L’ha sorpresa il ballottaggio fra Alemanno e Rutelli?
«Per Berlusconi è un periodo così magico che gli va tutto bene, anche quello che apparentemente non dovrebbe…».
Cioè?
«All’inizio era contro l’election day. Ma votare lo stesso giorno delle politiche ha azzerato il vantaggio di Rutelli!».
Se deve raccontare la Roma del centrosinistra dopo quindici anni, che dice?
«Che io e mia moglie siamo una famiglia divisa dall’unica realizzazione architettonica, l’Ara pacis di Meyer».
A chi non piace?
«A me. Mi pare una follia mettere in quel sito, nel cuore di Roma, un muro che ostruisce la visione del lungotevere. Lei, che è tedesca, lo adora».
E il risultato elettorale?
«Avendo una rubrica tra le più lette de Il Messaggero – non dovrei dirlo, lo so! – la città la conosco e studio come pochi. La vera anomalia…».
Me la dica.
«Vedere i Parioli in mano alla sinistra, e le periferie stravinte dal centrodestra! Il che mi consente di azzardare un pronostico controtendenza».
Ce lo riveli.
«Tutti dicono: vincerà la capacità di mobilitazione del centrosinistra. Ma, partendo da quel dato, in una domenica di primavera, Alemanno parte in vantaggio: i ricchi hanno le seconde case al mare, e i poveri restano in città».
Il centrosinistra ha innegabili meriti per lei?
«Sì. Quello di aver restituito – soprattutto con Veltroni – centralità mediatica internazionale a questa città».
E innegabili demeriti?
«Non si è accorto che si leggeva sui giornali la descrizione di una città meravigliosa, ordinata, sfavillante, che la gente comune non riconosceva come quella in cui viveva».
Il più grande pregio dell’idea di «romanità»?
«La sensazione, dal diritto agli acquedotti, l’Impero, la letteratura, la Chiesa, di aver fatto tutto prima degli altri».
Il più grande limite della «romanità»?
(Risata) «Lo stesso».
Cosa vorrebbe a tutti i costi da un nuovo sindaco?
«Che approfittasse dell’Expo, per lasciare segni architettonici contemporanei».
Nella campagna veltroniana non la convince l’idea di non nominare il Cavaliere…
«Il politicamente corretto in Italia è a volte ipocrita, spesso incomprensibile, in ogni caso fuori dalla realtà…».
Perché?
«Siamo il Paese degli accordi, dei compromessi, dei pasticcetti. Per me il buonismo ha stufato».
Lei di Veltroni è amico…
«Io e mio fratello lo idolatriamo da quando era ministro della Cultura. Le poche cose sensate nella legislazione sul cinema le ha fatte lui».
Tra cineasti vi capite…
(Sorride) «Aneddotto gustoso, a proposito di sicurezza in città… La sera in cui Walter è venuto da noi a vedere l’anteprima di Febbre da cavallo gli hanno svaligiato casa».
E su Berlusconi?
(Sospiro) «Uhhh… Lo conosco dal 1983. Mi invitò a casa sua, mi fece girare due o tre salotti sfarzosi, poi mi disse: “Dottor Vanzina, mi spiega il cinema? Io non ne so nulla”».
Era vero?
«Non lo so. Ma sorrisi e risposi: “Ci vorrebbe molto tempo, e dovremmo appartarci senza telefoni”. Lo fece. Non ero molto convinto. Parlai tre ore… Dopodiché, lui mi ripetè tutto, meglio di quanto non lo avessi detto io. Capii lì che era un uomo fuori del comune».
Un altro episodio…
«Uno che ci vorrebbe un film! Provo a sintetizzare con lingua cinematografica?».
Primo ciak…
«Cena di gala della serie Amori. Io la produco. Registi e sceneggiatori sono tutti comunisti o di sinistra: Monicelli, Loy, Pirro, la D’amico…».
Seconda scena.
«Il gelo. Prende la parola Lina Wertmuller e dice: “Sa, Cavaliere, noi lavoriamo per lei, ma non condividiamo nulla delle sue idee sugli spot e la pubblicità”. Patatrac! Penso che vorrei spararmi, mi chiedo come finirà la serata».
Il copione come si chiude?
«Dissolvenza. E divino finale da commedia. Confalonieri al piano, Berlusconi intona canzoni napoletane, e tutti intorno sorridenti lo accompagnano».
Non ci credo.
«Ci creda. Questo è Berlusconi. Ed è uno dei motivi per cui ha vinto anche stavolta».
Vanzina: «A Roma vincerà Alemanno»
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