«Balle, balle, balle!». C’è un momento in cui Walter Veltroni sorprende i giornalisti, nella conferenza stampa del day after, il giorno dopo la sconfitta della sua coalizione. Il leader del Pd è sul podio insieme al suo vice, Dario Franceschini, e si è allontanato per un attimo dal microfono cedendogli la parola – come fa di tanto in tanto – per farlo rispondere a una delle domande della stampa. Ma subito dopo aver fatto un passo indietro, quando sente che gli chiedono se sia vero che si è aperta una resa dei conti, sbotta per tre volte. E spiega: «Non è vero nulla. Non ci sono contrasti interni!».
Per un volta è vero, anche se non risolve i problemi del Pd. Il principale dei quali esploderà di lì a poco (durante lo scrutinio delle Comunali) e si chiama Francesco Rutelli: l’ex ministro dei Beni culturali, contrariamente a quanto si aspettavano al Loft, è in grandissima difficoltà fin dalle prime proiezioni, con un risultato che lo proietta verso un ballottaggio che tutti nel Pd speravano non si verificasse e che forse è il primo risultato dell’isolamento politico prodotto dalla sconfitta (e dalla rarefazione degli alleati senza quorum). Così la fantomatica resa dei conti fra «ex Ds» ed «ex Ppi» all’interno del Loft si rivela davvero un’ipotesi, più che una realtà, mentre il passo falso di Rutelli la punta di un iceberg.
Se non altro perché nel disastro del risultato di «coalizione» – meno nove punti dal Pdl – che probabilmente non è stato ancora del tutto compreso e metabolizzato dai dirigenti del Pd, il risultato «di partito» non è di quelli che provocano terremoti, anzi. In numeri assoluti, anche grazie al mancato quorum della Sinistra arcobaleno, il Pd cresce in seggi sia alla Camera sia al Senato. E fra l’altro crolla nelle regioni del Sud, proprio quelle in cui (con preveggenza?) il leader del Pd aveva collocato nella testa di lista i possibili oppositori del dopo voto, ovvero tutti i dirigenti dell’area dalemiana, a partire dallo stesso ministro degli Esteri («battuto» sia in Campania che in Puglia). Ecco perché, in tutto il partito, è difficile trovare un leader che voglia, o anche solo possa aprire un fronte di opposizione: «Non siamo un partito vincitore – spiega Rosy Bindi con un gioco di parole – ma siamo un partito vincente». Un concetto non chiarissimo, ma di cui si capisce il senso. «La squadra ha giocato bene», aggiunge l’ex ministro della Sanità. «Questa è una sconfitta che ha un futuro», ribadisce il braccio destro dell’ex sindaco di Roma, Walter Verini, oggi deputato, stratega del partito.
E così, la conferenza stampa di Veltroni pare tutta tesa a recuperare lo splendido isolamento che unisce una vittoria tecnica e una sconfitta strategica. Il primo passo è l’annuncio di «un governo ombra», che ricalca quello antidiluviano ideato da Achille Occhetto nel lontano 1988: «Nel quadro di un riavvicinamento all’Europa faremo nascere un governo dell’opposizione – spiega Veltroni – che avrà una sua sede, e dei ministri del Pd, uno shadow cabinet che diventerà uno dei nostri strumenti per continuare il dialogo con la società italiana». Il secondo annuncio, leggermente più vago, è quello che il Pd è interessato «a mantenere un rapporto con le altre forze di opposizione, sia quelle che sono rimaste fuori, sia quelle che sono entrate in Parlamento». Ovvero: Sinistra e Udc. E a proposito: «Non ci sentiamo i killer della sinistra», che invece «ha pagato un prezzo elevato per sua responsabilità, perché ha minato la compattezza del governo Prodi». Anche se l’assenza dal Parlamento sarà «un danno per la democrazia italiana».
Il terzo punto della conferenza stampa è il giudizio severo sulla prima conferenza stampa di Silvio Berlusconi (che questa volta – dopo la vittoria – torna ad essere chiamato per nome): «Sono rimasto molto negativamente colpito – spiega il leader dell’opposizione – dalle dichiarazioni di Berlusconi, questo spirito non corrisponde all’atteggiamento che abbiamo avuto noi nei loro confronti». E subito dopo aggiunge (forse dimenticando che l’Unione fece lo stesso!): «L’annuncio di non dare all’opposizione la presidenza di una Camera, un certo tono nei confronti delle altre forze politiche, non solo il Pd, una certa idea di autosufficienza, non fanno vedere un buon inizio». Di più: secondo Veltroni c’è stato «un massiccio spostamento» di voti dal Pdl verso la Lega, il che minerà la tenuta del governo: «Penso sia difficile che arrivi a fine legislatura, a causa del forte peso della Lega». Quindi l’analisi del risultato del partito, che rispetto alla dichiarazione di sconfitta è diventata decisamente più ottimista: «È un dato inequivoco, il Pd ha avuto una forte affermazione». Ma subito dopo un’ammissione pesante che per la prima volta chiama in causa l’operato dell’esecutivo di Prodi: «È evidente, sui risultati elettorali è pesato il giudizio sul governo». E ancora: «Non siamo riusciti ad arrivare fino in fondo anche per questione di tempo, sebbene solo noi abbiamo avuto un incremento di voti. Specie al Senato, nelle grandi città come Roma e Milano ci sono dati interessanti, segno di un insediamento molto forte del Pd». Il che, infine, spiega l’ultimo paradosso. Il Pd ha la responsabilità di una coalizione sulle spalle: ma quando deve fare i conti con i propri insuccessi continua a considerarsi solo un partito.
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