Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

La battaglia persa della Santanchè la nuova Evita Peron

Se ci pensi, anche l’ultima minuscola trovata, in un momento difficile come il dopo-voto, pare un colpo di genio inventato dal nulla: subito dopo lo scrutinio, la candidata premier della Destra si è sciolta i capelli, dicendo che era per onorare un fioretto. E ha fatto diventare persino questo dettaglio un micro-evento mediatico, con le agenzie che si precipitavano a mandare in rete gli scatti del nuovo look, per aggiornare gli archivi, dopo un mese di foto con la coda. E proprio lei, la stakanovista indefessa della campagna elettorale, ieri ha improvvisamente staccato la spina per dedicarsi a celebrare il compleanno del figlio Lorenzo – per tutti «Lorenzino» – lo stesso che è protagonista del suo spot elettorale sulle Tv private, quello in cui lui apre la finestra, e si trova affacciato a contemplare rifiuti, prostituzione, povertà.
In questo doppio passo, quella della madre che scende in campo con la sua famiglia coinvolgendo anche il figlio (all’americana), ma che poi sa anche rinchiudersi nella sua famiglia (all’italiana) c’è tutto il temperamento di Daniela, della «Dany». Dice a metà fra l’ammirazione ed il disincanto Ignazio La Russa, che è stato il suo talent scout, e che oggi è sicuramente deluso per come la Santanchè ha abbandonato An: «Il miglior pregio di Daniela è questo: quando si prefigge un obiettivo – racconta – lei è capace di qualunque cosa per raggiungerlo, ha una passione incredibile, non risparmia né se stessa né gli altri». E il peggior difetto? La Russa ride amaro e sospira: «Lo stesso…».
Sta di fatto che anche grazie a questa grinta, la Santanchè è diventata in meno di quattro mesi la paladina mediatica della fiaccola di Francesco Storace e di Teodoro Buontempo. Perché poi la Santanché è anche una donna dalle mille facce, capace di almanaccare identità e collezionare esistenze, e di stupire sempre. Dopo mesi di seriossimi tailleur da aspirante premier, per dire, anche la mise mutava repentinamente, e «la Dany» si palesava a Milano inguainata in un completo «total-blu-avion» con giacca avvitata e pantaloni alla cavallerizza infilati in lunghi stivali scuri. Mentre gli altri facevano le loro esternazioni post-elettorali crocifissi dietro a simboli e manifesti, lei trasformava in tribuna i divani della casa di Milano foderati in coccodrillo, o portava il suo salotto nella diretta di Controcorrente a Sky. Gli altri si strappano le vesti per lo scrutinio, lei festeggia. E intanto promuove il suo secondo libro, Le donne violate, dopo il successo (anche commerciale) del primo, La donna violata, perché nessuna come lei è esperta nel marketing di se stessa e ci ride persino su: «Lo so che molti dicono che me l’ha scritto da un ghost writer, ma chissenefrega: io so che non è vero!». Se le chiedono quanto sia delusa per il mancato quorum risponde con un sorriso: «Io non lo considero sconfitta! In tre mesi abbiamo raccolto un milione di voti di persone di destra che credono». E non si può certo darle torto, se si pensa che un partito messo su alla garibaldina, ha preso solo lo 0,7 in meno di quattro soggetti di Sinistra Arcobaleno.
Chissà cosa potrà inventarsi di nuovo stavolta, lei, approdata in Parlamento con l’ormai memorabile campagna elettorale in cui annunciava «entrerò nelle stalle con i miei tacchi a spillo», riconvertita in meno di una legislatura da sacerdotessa dell’effimero a seriosissima relatrice della Finanziaria, da emergente del gruppo dirigente di Gianfranco Fini a epurata speciale di Fini, da «musa» di Silvio Berlusconi (che non ha mai nascosto la sua ammirazione per lei) a resistente strenua di quello che in campagna elettorale definiva «L’inciucio Pd-Pdl, la scelta deprimente fra due supermercati che vendono lo stesso prodotto». Proprio lei, che aveva portato Berlusconi al congresso di fondazione della Destra, fino a sentirlo gridare «Sono uno di voi!», per tutta la campagna elettorale lo ha tallonato prima accusandolo di «considerare le donne orizzontali», poi sfidandolo persino sul piano dell’immaginario erotico: «Tanto non te la dò!». Il politicamente corretto per lei non esiste, se deve scegliere un titolo per la sua rubrica su Il Giornale si diverte con il calembour: «Senza veli».
Chi scrive se la ricorda nelle feste di inaugurazione del Billionaire, il locale di cui è socia proprietaria, quando metteva insieme Simona Ventura e Costantino Vitaliano, le gite in barca con Paola Ferrari De Benedetti (che poi l’ha seguita nella sua avventura elettorale) e Naomi Campbell. Salvo poi strappare applausi a destra dicendo: «Mille volte meglio i ragazzi della Fiamma che distruggono la casa del Grande fratello che i clienti del Billionaire». Ora, dopo aver volato nei cento metri della campagna elettorale, deve dimostrare se riesce a resistere nella maratona che porta la Fiamma fuori dall’«extraparlamentarismo». Se alle Europee riuscirà a conquistare due seggi, non sarà più una che sfonda il video, ma anche una che costruisce. Non «una rock star popolare ma impolitica», come la categorizza Maurizio Gasparri. Ma una piccola-grande Evita Peron, come sogna lei.


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