Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

D’Alema s’inventa il partito del Sud

Parola del ministro degli Esteri nonché leader maximo della ex Quercia: «È eticamente inaccettabile questo scarico di responsabilità su un solo uomo. Trovo ingiusto questo fuoco nei confronti di Bassolino». Solo a «Sant’Antonio » Bassolino poteva riuscire tale miracolo, quello di ribaltare di segno la «Questione meridionale» che nel Novecento diede lustro ad un secolo di battaglie della sinistra, e che oggi – invece – avvelena la campagna elettorale di Walter Veltroni. Solo a Bassolino poteva riuscire il prodigio di rovinare un lavoro di mesi: l’ex sindaco diRomafa salti mortali per eclissare i fallimenti di Romano Prodi e riconquistare «il Nord» e lui annulla gli sforzi più titanici, tirandolo a fondo nella voragine di Munnezzopoli. Infine, l’ultimo paradosso: quello di fare di Massimo D’Alema il leader di fatto di un«partito delSud»che difende lo status quo nelle regioni meridionali (ovvero il disastro). Eppure,anche la successione di avvenimenti politici degli ultimi giorni dà l’idea: il leader delPd suscitaunterremoto (anche a sinistra) pur candidare «il figlio dei padroni » (come lo definisce la sinistra radicale) Matteo Colaninno e il confindustriale MassimoCalearo nel tentativodi sedurre il Triveneto produttivo; magli scandali del commissariato e il rifiuto di Bassolino di dimettersi riportano il leader del Pd dove non vorrebbe, ovvero nel baratro dello «Strasud », del malaffare, della cultura dell’assistenza, del cattivo governo, nello stereotipo. Pare la parafrasi di una indimenticabile, vittimistica (e autoironica) canzone di Renzo Arbore: «Sud, nui simme ruo’ Sud / Datece o tiempd’arrivà pecché noi simm’ ruo Sud». Infine, l’ultimo capolavoro Bassolino lo compie proprioconla suaoperazione di saldatura politica ai «dalemiani ». Per uscire dall’isolamento, infatti, ’O governatore ha ridestato la belva che nel Pd sembrava sopita, sièvolontariamente fatto catalizzatore di tutto il malcontento suscitato dentro la vecchia Quercia dalla rivoluzione veltroniana. Ora in suo nome si combatte di nuovo. E il risultato sarà che a fine mese, quando il pullman di Veltroni toccherà la Campania, il rischio di una deflagrazione politica tra le vecchie anime della Quercia si farà reale e concretissimo. I veltroniani cihannoprovato in tutti imodi, con le buone, a convincere Bassolino a dimettersi: hannopersino riesumatoPiero Fassino,perunappello disperato. Non c’è stato nulladafare: adesso il suo grido «Non mi dimetto», equivale al«muoia Sansone con tutti i filistei».Maprima di entrare nella gazzarra fra Bassolino e gli altri leader del Pd va spiegato come si è precipitati in questo paradosso e come ci entra D’Alema. La parabola del governatore della Campania, in realtà, inizia molto primache la bomba della «munnezza » la faccia deflagrare. La stagione del cosiddetto «Nuovo rinascimento», in Campania, si chiude molto prima della gestione commissariale. È alla fine del primo mandato, infatti, che il leader di Afragola subisce il primo colpo alle sue ambizioni a livello nazionale. Diventa ministro del Lavoro, nel 1998, e si deve dimettere poco dopo, nel 1999. Attenzione al contesto: è appena caduto il primo governo Prodi, a portarlo a Roma chi è? Il nuovo premier D’Alema.E chi gli ha organizzato la campagna elettorale per conquista della città? Un altro amico di vecchia data, nonché fedelissimo del premier: Claudio Velardi. E chi è l’unico dirigente di peso (oltre a Velardi che è un outsider) che in queste ore ha spezzato qualche lancia in favore di Bassolino? L’ex segretario regionale della Margherita nonché ex neodirettore del Riformista Antonio Polito, animatore diunprogetto di quotidiano della sinistra riformista, e quindi «anti-veltroniana». Uno che di Veltroni dice «Ha un notevole istinto killer ed è un’ottimamacchina elettorale. Sa friggere l’acqua». Torniamo a Bassolino: quandodopole dimissioni torna a Napoli, la città gli è ormai sfuggita di mano. Imagistrati hanno costretto alle dimissioni il cervello amministrativo della sua giunta, Riccardo Marone. Il primo slancio propulsivo si è appannato. Così,per sopravvivere, «il bassolinismo » inizia a farsi clientela. Unsistema di potere articolato, capillare, che si regge grazieaunacontinuitàamministrativache supera il decennio. E che «prende in appalto », nel partito, la rappresentanza dei «dalemiani» (che politicamente non hanno forza. Oggi, approfittando del fatto che Veltroni prima del rinvio a giudizio non ha avuto il coraggio di liquidarlo, Bassolino torna a stringere i cordoni conD’Alemainnomedella realpolitik e grazie alle amicizie comuni. Velardi torna eroicamente da neoassessore su unabarca che affonda e lo costringe al contropiede. Da un mese il governatore non esce in pubblico (per timore di contestazioni o di domande) e «l’assessorecomunicatore » vuole invece che si faccia vedere e dia battaglia (già stasera). E se Veltroni candida capolista in Campania il ministro riformatore Luigi Nicolais (che diBassolino oggi è ilnemico giurato), lui invita Bassolino a stringersi a D’Alema (capolista in Puglia) al dalemiano Nicola Latorre (capolista in Basilicata, in questo periodo spessissimo in Campania) e all’altrettanto dalemiano Marco Minniti (capolista nellanonmenotraballante Calabria). Tutto in nome di una difesa dell’orgoglio meridionalista. In questo braccio di ferro, ovviamente, si leggeunaradicale differenza strategica. Veltroni spera che la campagnachoc del Pd possa far breccia nell’elettorato di centrodestra e di Nord-est. D’Alema è convinto che solo tendendo le posizioni del centrosinistra al Sud, senza abbandonare le postazioni si possa vincere. Alla fine, l’unica cosa certa, e che le due posizioni divergenti stavoltanonsi possono sommare.


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