Solo nella politica e nel dramma la decadenza e l’inconsapevolezza si sfiorano fino a confondersi l’una nell’altra. E dunque ieri l’Antonio Bassolino che se la prendeva con i magistrati che l’hanno rinviato a giudizio per lo scandalo rifiuti gridando: «È un processo politico», sembrava molto più vicino alla tragedia greca che agli standard politici europei. Ed è grottesco il suo tentativo di autodifesa, il suo ripetere che non si dimette perché «sto lottando contro l’emergenza» come se fosse l’unico a non sapere di essere uno dei principali responsabili di quell’emergenza. E proprio Responsabilità, s’intitolava l’editoriale con cui ieri un direttore importante come Ezio Mauro, ha chiesto la sua testa sulla prima pagina di Repubblica: «Se la vicenda ha questa portata qualcuno – più simbolicamente esposto – deve assumersene il peso e il carico davanti alla pubblica opinione». Il nome Mauro lo fa nell’ultima riga: «La politica è anche responsabilità e sa pagare i suoi prezzi. Sono le ragioni per cui Antonio Bassolino deve dimettersi». Ma non si tratta di un gesto simbolico, quanto di un atto dovuto. E solo un’incredibile confusione mediatica ha permesso fino ad oggi che le responsabilità di Bassolino venissero eclissate in quelle generali e indistinte di un’intera classe politica. Per farsene un’idea basta leggere le incredibili pagine dell’inchiesta nient’affatto spettacolare condotta con meticolosa cura da Paolo Sirleo e Giuseppe Noviello, due fra i magistrati meno fotografati e meno intervistati d’Italia. E per chi non volesse addentrarsi nella carte giuridiche, c’è il rigoroso saggio di Paolo Chiariello Monnezzopoli, la grande truffa, il libro che il giornalista di Sky ha scritto per spiegare «dove sono finiti i duemila milioni di euro divorati dall’emergenza rifiuti». Stupisce Bassolino che arriva a dire «io sono stato nominato dal governo Berlusconi, e altri governi ne hanno nominati altri di commissari, prima e dopo di me». Il presidente della Regione Campania, infatti, cerca disperatamente di dividere le sue colpe. Peccato che anche un’analisi volante dei bilanci mostra che il primo anno di gestione commissariale (Antonio Rastrelli, presidente di centrodestra) costò appena 16.638 euro e che durante l’amministrazione del suo successore, l’udeurrino Andrea Losco, fra il ’99 e il 2000, si spesero 356.000 euro. Come si fa a non notare la differenza di cifre scandita dal maggio 2000 al febbraio del 2004, quando sotto la guida di Bassolino si produce una vertiginosa escalation degli sprechi: 698.000 euro (2001), 1.130.000 euro (2002), 1.140.000 euro (2003). In sintesi: da Rastrelli a Bassolino, le spese vengono più o meno centuplicate (!). In questo lasso di tempo (e a dir la verità anche dopo) i soldi sembrano buttati via dalla finestra. Cifre e bilanci che fanno inorridire Natale Monsurrò, ispettore del ministero del Tesoro, che davanti alla Commissione d’inchiesta sui rifiuti spiegherà gli orrori trovati nelle carte del commissariato. Si tratta di piccole o grandi perle, unite da un unico comune denominatore: lo spreco. Ad esempio Monsurrò racconta l’assurdo di «un consulente informatico, assunto per fare da consulente a un altro consulente informatico». Oppure delle deliranti note spese sostenute per un hotel a cinque stelle superlusso (costo 280 euro a notte) per otto dipendenti spediti a Rimini a seguire un convegno. La relazione di Monsurrò annota meticolosamente le spese pazze: pasti pagati a persone che nulla avevano a che vedere con il commissariato, camere doppie, date delle ricevute corrette (una del 31 gennaio 2000 trasformata nel 5 novembre 2000), per arrivare a un disavanzo di circa 400 milioni di euro in soli sei anni. La cosa più indegna fra tutte è l’assurdo dell’appalto per le cosiddette ecoballe. «Perché se la prendono con me?», si chiede Bassolino. Forse non ha mai imposto alla Fibe (la società che aveva ricevuto l’appalto) di smaltire i rifiuti a proprie spese, come era previsto dal contratto. Quando i giudici gli chiedono come mai, la risposta è quasi imbarazzante: «Non ho mai saputo dell’esistenza di una clausola contrattuale che imponesse alla Fibe di ricevere i rifiuti solidi urbani». Possibile? Quello che Bassolino dice poi è ancora più delirante, soprattutto da parte di un politico con una lunghissima esperienza amministrativa: «Io ribadisco di non aver mai letto il contratto da me firmato». Bassolino si arrampica sugli specchi per spiegare che dipende dal suo consulente, l’avvocato Enrico Soprano. Che per la cronaca avrebbe fatturato 21 incarichi per 921mila euro. Si potrebbe poi continuare con la grande balla del sistema Sirenetta (9 milioni di euro), impianto satellitare sui camion della nettezza urbana che non ha mai funzionato (perché le antenne saltavano durante i lavaggi). Oppure con la saga del call center dove si assumevano cento persone per rispondere a quattro telefonate al giorno. Da cui il calcolo che ogni telefonata è costata 3.700 euro. Ecco perché sua moglie, la senatrice Annamaria Carloni, cerca di essere ricandidata, ma questa volta in Emilia Romagna (forse si vergogna), ecco perché il regista Mario Martone non girerebbe più I Vesuviani, film dove il sindaco ascendeva come un santo sul Vesuvio. Ecco perché sembra un kamikaze l’amico che non tradisce, Claudio Velardi, che ha accettato di entrare in giunta. Insomma, davvero Bassolino è un personaggio tragico perché non si può pensare che menta, probabilmente si è davvero convinto di essere una vittima. Ed è questa la vera tragedia.
La tragedia di Antonio: «Processo politico»
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