Luca Telese
Roma – E allora venite a vedere un’Era che si chiude nello spazio di un voto e con lo schianto di una frattura, venite a vedere una classe dirigente che si dissolve come il burro in una giornata di sputi, svenimenti, barellieri, sedie a rotelle, stampelle e tutori, venite a vedere un governo che frana, in un Parlamento che si polverizza fra ingiurie e rancori. Se sei lì come cronista pensi che a fine giornata sul taccuino dovresti ritrovarti annotato il racconto di una battaglia politica, magari terribile, ma comunque epica. E invece, a metà pomeriggio ti rendi conto che ieri Palazzo Madama era diventato il set di una tragedia mediatica che però non riusciva mai a farsi grave: molto più reality show che tempio del parlamentarismo, molto più «Grande Fratello» che Agostino De Pretis (perché almeno il trasformismo ottocentesco una sua dignità l’aveva). E poi ancora il sesso e l’identità sessuale dei parlamentari che incrocia il potere come un sospetto, in uno scambio di accuse che fa impallidire il ricordo di quella volta che Francesco Storace disse alla Camera al Verde Mauro Paissan che aveva «le unghie laccate». Ma quello era l’esordio della seconda repubblica, roba che al cospetto di questo crepuscolo sembrava un club di lord sofisticati e vagamente allusivi.
La giornata di ieri, invece, prende tutto il suo colore cupo e grottesco dallo svenimento in Aula di Nuccio Cusumano, che frana al termine del suo intervento proprio ai piedi la tribuna stampa. Ma anche dal bravissimo medico personale di Clemente Mastella, Annio Maiatico, accorso da Benevento al seguito del suo leader micro-collassato di prima mattina: «Non dormo da giorni!», confessa lui. Ed è segnata, la seduta, da tutta un’atmosfera vagamente ospedaliera: Francesco Cossiga, si sa, si muove su stampelle; l’azzurro Guido Possa, multifratturato, entra in sedia a rotelle con gamba in trazione, dopo essere stato «aviotrasportato» con velivolo berlusconiano; persino l’aennino Learco Saporito – non è uno scherzo – esibisce il braccio al collo e un bellissimo tutore blu; Rita Levi Montalcini viene collocata dai commessi su uno scranno e da lì non si muove: saranno anche coincidenze, certo, ma di fatto tutto l’emiciclo basso si tramuta in un’area invalidi. E così quando pure Cusumano stramazza, anche tu, che dovresti essere lì come cronista, ti senti improvvisamente «belva» mentre cerchi di sbirciare il corpo che i colleghi dell’ex senatore udeurrino cercano di velare con le giacche. Dovresti essere lì per raccontare una grande battaglia, ma ti accorgi che la rissa in Aula è già diventata una moviola, e l’ultimo dilemma dei resocontisti è capire se Tommaso Barbato abbia sputato o meno all’ex compagno di partito, e se abbia fatto o no il segno della pistola o quello delle corna al collega che adesso i commessi trascinano per le scarpe strisciando il corpo esamine sulle poltrone. Dovrebbe essere un’immagine tragica, questo trascinamento, e invece ti pare il cadavere di una comica in bianco e nero. In Transatlantico poco dopo Francesco D’Onofrio scommetterà: «Se conosco Cusumano, di cui sono amico da trent’anni, entro le otto risorgerà, eh, eh…». Potrà sembrare cinico, ma siccome alle otto si deve votare, il voto di Cusumano effettivamente è prezioso, così effettivamente accade. E già prima, il tam tam della battaglia parlamentare, che non può ammettere l’immagine della debolezza di uno schieramento, aveva annunciato la resurrezione nella logica del pallottoliere: «Adesso è sedato in infermeria, ma voterà voterà…».
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