Luca Telese

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Giornalista, autore e conduttore televisivo e radiofonico

Dopo aver resuscitato Lenin Diliberto salpa sulla Potemkin

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Livorno – «No! Il dibattito no!!!», gridava Paolo Villaggio nell’indimenticabile Il secondo tragico Fantozzi per sottrarsi ad un dibattito aziendale (obbligato, per volontà di un direttore tirannicamente cinéphile) sulla Corazzata Potemkin. E invece, a Livorno, sabato sera, il dibattito con il segretario del Pdci Oliviero Diliberto sul film di Serjei Eisenstein è stato prima di tutto voluto. Poi sorprendentemente affollato. E (alla fine) praticamente interminabile. Al punto che a mezzanotte i gestori della sala dei portuali che ospitava la rassegna cine-letteraria hanno iniziato a lampeggiare le luci nervosamente. Diliberto ha scherzato: «Niente più domande. Temo che ci vogliano cacciare, eh, eh, eh…». Magari! Invece il nocciolo duro del gruppo si trasferisce in un ristorante, e continua a dibattere di cinema, politica e rivoluzione fino alle due e venti del mattino, con digressioni a metà fra politica e cinema, fra Sergio Leone e John Wayne. E su Gianfranco Fini che secondo la leggenda entra in politica perché non gli fanno vedere Berretti verdi.
Il tutto mentre Paolo Villaggio sceglie le colonne della Stampa per dire che lui, a rivedere la Corazzata, non ci tornerebbe «neanche morto». Ovvio che la curiosità fosse tanta. A moderare – nel festival «Mangiarsi le parole» – c’era lo scrittore Giampaolo Simi, apprezzato autore noir. E a discutere con Diliberto anche un critico cinematografico e un altro scrittore: Paolo Nori, studioso e traduttore di letteratura russa. L’inizio è spiazzante. Nel senso che la versione del film proiettata è quella originale, con le bellissime musiche di Serjei Prokofiev, certo. Ma anche rigorosamente sottotitolata in cirillico (!). Circostanza che crea qualche attimo di sconcerto in sala. Ma subito dopo, magicamente, le immagini in bianco e nero prendono il sopravvento su tutto, e Diliberto, in prima fila esclama: «Avete visto che montaggio pazzesco? Che fotografia? Vi sembra un film che ha novantadue anni, questo? Se li porta benissimo». Il leader del Pdci si mostra ferrato tanto sulla cinematografia sovietica che sull’esegesi fantozziana. Proprio lui, che sulla riscoperta del film «dimenticato» ha costruito una piccola ed efficacissima operazione mediatica (paginate sui giornali, servizi nei Tg) racconta di averlo visto, da ragazzo, fino alla nausea: «Negli anni Settanta lo guardavamo anche cinque volte l’anno! Il dibattito nei cineclub era immancabile, a volte cervellotico, come quello parodizzato da Villaggio. Una specie di obbligo morale. Se non partecipavi – ride il leader neocomunista – ti etichettavano subito come reazionario». Diliberto chiede ai convenuti di alzare le mani in sala per sapere chi «vede la Corazzata per la prima volta» (quasi tutti). Allora scuote il capo: «Questo è il segno che su un pezzo di storia del Novecento, sul comunismo e sulle avanguardie che ha mobilitato, ci è passata la ruspa sopra!». Aggiunge dettagli tecnici («Ci sono mille inquadrature di tre secondi l’una»), curiosità («Malgrado la traduzione italiana si trattava non di “corazzata” ma di “incrociatore!”»). Elenca tutte le ascendenze eisensteniane nella storia del cinema: «Nel primo quarto d’ora di C’era una volta nel West di Sergio Leone ritroverete il muto e i primi piani del regista russo; ne Gli intoccabili di De Palma una citazione quasi letterale…». Nori stupisce l’uditorio con una rivelazione: «Nemmeno la pronuncia del nome è esatta, bisognerebbe dire Pàtemkin, con la A». Il segretario del Pdci sospira: «Oddìo!».
Diliberto è reduce dalle celebrazioni della rivoluzione russa a Mosca, spiega che in questo secolo – «da comunista orgoglioso» – ci si sente «come i giacobini in Europa dopo il congresso di Vienna». E a cena si produce in una celebrazione parallela del fantozzismo: «Quando uscì il primo libro con gli amici piangevamo fino alle lacrime per le risate leggendolo insieme». Poi, quasi cattedratico: «Anche Fantozzi ha lasciato segni permanenti nella lingua e nel costume italiano. La scoperta del grottesco, o l’uso dell’aggettivo “mostruoso”, per esempio. Ma anche immagini come le poltrone in pelle umana, o definizioni parodistiche come il mega-direttore-galattico. In realtà anche il suo era un omaggio ad Eisenstein». Ma chiudendo il convegno, «Dili-beria» («un soprannome di cui vado orgoglioso», sorride, ricordando chi lo accostava al capo della temutissima polizia staliniana) un piccolo dispiacere ai puristi lo da: «L’Italia aveva un grande cinema di autori e artigiani, da Fellini a Mario Bava, da Antonioni a Lucio Fulci, che oggi non c’è più». La sua ricetta per tornare grandi? «Girare i grandi film, in inglese, per parlare ai grandi mercati». Ma come!: il compagno Diliberto riabilita il sovietico Eisenstein, ma poi, con spregiudicata doppiezza togliattiana, vuol copiare gli odiati Yankees? «Mostruoso!», commenterebbe, di certo, il ragionier Fantozzi.


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