di Luca Telese
Cravatte griffate, e sgraffignate. E, per di più, alla Terza Autorità dello Stato, sua eccellenza Fausto Bertinotti. Fantastico: non è un gioco di parole, non è uno scherzo, è tutto vero. E i lettori per una volta ci scuseranno – quindi – se su questo giornale solidamente e montanellianamente legalitario, per una volta si tesse l’elogio di un esproprio “proletario”, o – meglio ancora – di un “esproprio presidenziale”. Perché merita sicuramente un premio l’anonimo compagno che venerdì scorso, nella sede di Rifondazione in via Barberini, ha eroicamente trafugato cinque cravatte della collezione “Autunno inverno” – confezione esclusiva con cucitura a mano – inviate in omaggio da uno degli stilisti più à la page della moda milanese, Luca Roda, al presidente della Camera che (un tempo) si commuoveva per gli operai e per gli scioperi, e che (adesso) si deprime per l’assortimento del proprio guardaroba.
Una volta esplorati questi dettagli, dunque, è chiaro che il fatto non può essere degradato alla volgare fattispecie del furto, ma deve essere elevato al rango più alto del gesto pedagogico ed educativo. Una sottrazione di cravatte – cinque, tre regimental in seta, su toni di blu e rosso, due in cachemire – celebrata con discrezione ed eroico tempismo, non per nuocere a Bertinotti, ma sicuramente per aiutarlo a ravvedersi. Non per invidia, dunque, ma in fondo per amore.
L’anonimo compagno che si è visto arrivare nella sede del partito l’elegante scatola bianca con carta crema e cordoncino beige chicchissimo, infatti, ha provveduto a far sparire prontamente i reperti sartoriali che testimoniavano un ennesimo segnale di cedimento dell’ex “subcomandante” Fausto alle mollezze del Palazzo. A fare lo scoop è stato il Corriere della sera, che ieri però, ha nascosto l’esilarante cronaca di Giovanna Cavalli nientemeno che a pagina 13. Meraviglioso anche l’epilogo riferito dalla brillantissima firma di via Solferino. Bertinotti, dopo aver chiamato lo stilista contrariato (“Sai, mi è successa una cosa spiacevole…”) non si è lamentato per il danno pecuniario (circa 600 euro, quisquilie), ma per la sede in cui si è celebrato. E incurante dell’avvertimento, non ha cercato l’anonimo per festeggiarlo e ravvedersi, ma ha chiamato l’atelier sulla riva del Garda, per chiedere che il prossimo pacco non sia recapitato nell’ormai insicura sede di Rifondazione, ma al più istituzionale e rassicurante ufficio postale di Montecitorio. Un segnale simbolico – a ben vedere – di un cambio di ragione sociale. Certo, l’anonimo compagno pedagogo, ha più di un motivo per giustificare il suo gesto. Da tempo Bertinotti ha avviato una operazione di mutazione tanto straordinaria quanto interessante. Dapprima l’acquisto della villa con piscina a Massa Martana, che noi consideriamo molto confortevole, ma che il vecchio Bertinotti (il ragazzo di Varallo Pombia che si appassionava alla lotta di classe e non firmava i contratti), avrebbe considerato sconveniente. Stavolta Fausto ha firmato il contratto, e celebrato il rogito. Poi c’è stata la dimessa visita al monte Athos, molto discreta e quasi mistica (peccato che celebrata davanti ad una telecamera del Tg1). Quindi abbiamo seguito la polemica di Donna Lella Fanio in Bertinotti – la first lady! – che il 24 agosto ha scritto furibonda a La Stampa per protestare contro una battuta irriguardosa del comico Bertolino, che era arrivata a fare del sarcasmo su un pranzo mondano con Valeria Marini. Quindi si era aggiunta la capziosa polemica sui presunti “aerei blu” del presidente della Camera, tutto per un innocente volo di Stato che ha accompagnato Bertinotti nella sua sede di vacanza in Bretagna (e che sarà mai), e le malizie del mitico Magazine di Maria Luisa Agnese, che si è divertito ad almanaccare uno straordinario scambio di cortesie. Quando Bertinotti si era ritrovato appiedato in Egitto (per via di uno stop di manutenzione del suo aereo), il munifico presidente Mubarak, gli ha dato un passaggio con il suo aereo di Stato, permettendogli di visitare, malgrado il contrattempo, Karnak e Luxor (tecnicamente si tratta pur sempre di “avio-stop”, roba da beat generation). E quindi l’ultima malignità. Perfida, perché accostata a ciò che un uomo ha di più sacro. La sottolineatura greve di chi aveva notato una elegante omissione nel bollettino medico sulla rimozione della prostata presidenziale. Bertinotti si era operato “in una clinica romana”, ci informava l’ufficio stampa di Montecitorio, trascurando – giustamente – il dettaglio morboso che Fausto, grande sostenitore del sistema sanitario nazionale, lo aveva fatto in una clinica privata. La sfortuna voleva che l’eroico Giuliano Amato, follemente spericolato, solo due giorni dopo si fosse affidato (per il medesimo intervento) a una struttura pubblica: il policlinico di Tor Vergata. La vicinanza dei due eventi chirurgici, aveva fatto nascere, in Transatlantico, la distinzione capziosa e certo irriguardosa fra “prostata socialista” (Amato) e “prostata presidenziale” (quella di Berty). Così, al presidente della Camera, molto sommessamente, vorremmo consigliare di non cambiare indirizzo, di tornare l’uomo che scriveva a il Messaggero meticolose lettere di smentita su illazioni vergognose (“Non ho mai comprato nessun maglione cachemire, ne ho uno solo, che mi è stato regalato da un gruppo di compagne”) e tornasse nel “covo” di via Barberini, la sede del suo partito, per un gesto esemplare. Farsi restituire il cachemire espropriato: ma perdonare il compagno pedagogo che ha provato inutilmente a redimerlo.
Una volta esplorati questi dettagli, dunque, è chiaro che il fatto non può essere degradato alla volgare fattispecie del furto, ma deve essere elevato al rango più alto del gesto pedagogico ed educativo. Una sottrazione di cravatte – cinque, tre regimental in seta, su toni di blu e rosso, due in cachemire – celebrata con discrezione ed eroico tempismo, non per nuocere a Bertinotti, ma sicuramente per aiutarlo a ravvedersi. Non per invidia, dunque, ma in fondo per amore.
L’anonimo compagno che si è visto arrivare nella sede del partito l’elegante scatola bianca con carta crema e cordoncino beige chicchissimo, infatti, ha provveduto a far sparire prontamente i reperti sartoriali che testimoniavano un ennesimo segnale di cedimento dell’ex “subcomandante” Fausto alle mollezze del Palazzo. A fare lo scoop è stato il Corriere della sera, che ieri però, ha nascosto l’esilarante cronaca di Giovanna Cavalli nientemeno che a pagina 13. Meraviglioso anche l’epilogo riferito dalla brillantissima firma di via Solferino. Bertinotti, dopo aver chiamato lo stilista contrariato (“Sai, mi è successa una cosa spiacevole…”) non si è lamentato per il danno pecuniario (circa 600 euro, quisquilie), ma per la sede in cui si è celebrato. E incurante dell’avvertimento, non ha cercato l’anonimo per festeggiarlo e ravvedersi, ma ha chiamato l’atelier sulla riva del Garda, per chiedere che il prossimo pacco non sia recapitato nell’ormai insicura sede di Rifondazione, ma al più istituzionale e rassicurante ufficio postale di Montecitorio. Un segnale simbolico – a ben vedere – di un cambio di ragione sociale. Certo, l’anonimo compagno pedagogo, ha più di un motivo per giustificare il suo gesto. Da tempo Bertinotti ha avviato una operazione di mutazione tanto straordinaria quanto interessante. Dapprima l’acquisto della villa con piscina a Massa Martana, che noi consideriamo molto confortevole, ma che il vecchio Bertinotti (il ragazzo di Varallo Pombia che si appassionava alla lotta di classe e non firmava i contratti), avrebbe considerato sconveniente. Stavolta Fausto ha firmato il contratto, e celebrato il rogito. Poi c’è stata la dimessa visita al monte Athos, molto discreta e quasi mistica (peccato che celebrata davanti ad una telecamera del Tg1). Quindi abbiamo seguito la polemica di Donna Lella Fanio in Bertinotti – la first lady! – che il 24 agosto ha scritto furibonda a La Stampa per protestare contro una battuta irriguardosa del comico Bertolino, che era arrivata a fare del sarcasmo su un pranzo mondano con Valeria Marini. Quindi si era aggiunta la capziosa polemica sui presunti “aerei blu” del presidente della Camera, tutto per un innocente volo di Stato che ha accompagnato Bertinotti nella sua sede di vacanza in Bretagna (e che sarà mai), e le malizie del mitico Magazine di Maria Luisa Agnese, che si è divertito ad almanaccare uno straordinario scambio di cortesie. Quando Bertinotti si era ritrovato appiedato in Egitto (per via di uno stop di manutenzione del suo aereo), il munifico presidente Mubarak, gli ha dato un passaggio con il suo aereo di Stato, permettendogli di visitare, malgrado il contrattempo, Karnak e Luxor (tecnicamente si tratta pur sempre di “avio-stop”, roba da beat generation). E quindi l’ultima malignità. Perfida, perché accostata a ciò che un uomo ha di più sacro. La sottolineatura greve di chi aveva notato una elegante omissione nel bollettino medico sulla rimozione della prostata presidenziale. Bertinotti si era operato “in una clinica romana”, ci informava l’ufficio stampa di Montecitorio, trascurando – giustamente – il dettaglio morboso che Fausto, grande sostenitore del sistema sanitario nazionale, lo aveva fatto in una clinica privata. La sfortuna voleva che l’eroico Giuliano Amato, follemente spericolato, solo due giorni dopo si fosse affidato (per il medesimo intervento) a una struttura pubblica: il policlinico di Tor Vergata. La vicinanza dei due eventi chirurgici, aveva fatto nascere, in Transatlantico, la distinzione capziosa e certo irriguardosa fra “prostata socialista” (Amato) e “prostata presidenziale” (quella di Berty). Così, al presidente della Camera, molto sommessamente, vorremmo consigliare di non cambiare indirizzo, di tornare l’uomo che scriveva a il Messaggero meticolose lettere di smentita su illazioni vergognose (“Non ho mai comprato nessun maglione cachemire, ne ho uno solo, che mi è stato regalato da un gruppo di compagne”) e tornasse nel “covo” di via Barberini, la sede del suo partito, per un gesto esemplare. Farsi restituire il cachemire espropriato: ma perdonare il compagno pedagogo che ha provato inutilmente a redimerlo.
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