di Luca Telese
Stamattina scende in campo lui, Walter Veltroni in persona. Il sindaco-candidato, infatti, presenterà ufficialmente le sue liste allo spazio Etoile di Piazza in Lucina. Un atto doveroso, certo, ma che in questo momento risulta più che mai necessario per risollevare l’immagine del nascituro Partito democratico dopo il pasticciaccio brutto della chiusura-liste.
Da un capo all’altro dell’Italia, infatti, continuano ad accendersi polemiche e ricorsi. In Piemonte si è arrivati ad un vero paradosso, visto che – per ora – è saltata una delle due candidature (quella regionale) del sindaco della città, Sergio Chiamparino. La motivazione? All’inizio si parlava di un ritardo di qualche minuto rispetto al limite di chiusura delle liste (e in quel caso non sarebbe certo il solo). Ma ieri sera il suo braccio destro, Carlo Bongiovanni, provava a smorzare i toni e parlava di «un foglio lasciato a casa». Ma ovviamente – foglio o non foglio – lasciare fuori un uomo del prestigio di «Chiampa» farebbe saltare l’accordo per la candidatura del segretario regionale, e quindi si cercherà una mediazione estrema.
A Napoli è successo di peggio. E le primarie sono diventate il pretesto per un regolamento di conti nell’ennesima puntata della faida antica fra Antonio Bassolino e il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca. De Luca non è uno che va per il sottile, e dalla colonne de Il Mattino ha lanciato un appello a votare le sue liste «per spazzare via il governo di Bassolino e De Mita». Parole così roventi da costringere il numero uno della lista veltroniana, Goffredo Bettini, ad un comunicato di censura: «Spero che queste parole siano corrette, smentite, ritirate. Non sono – osserva Bettini – nello spirito di chi vuole costruire il Pd come grande forza del rinnovamento della politica, del suo linguaggio, delle sue pratiche».
Ancora peggio sta andando a Jacopo Gavazzoli Schettini, uno dei due candidati outsider, che ieri denunciava la «pressione burocratica che mette a rischio la candidatura». Infatti, per correre, un candidato ha bisogno di essere presente in almeno 25 collegi: data l’incredibile mole di firme necessarie per ora lui non c’è riuscito, e rischia di restare fuori. Per il rotto della cuffia (salvo esclusioni dell’ultima ora) sarebbe entrato Piergiorgio Gawronski, presidente in soli 28 collegi di Veneto, Friuli, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzo e Puglia. Ma il candidato non nasconde la sua rabbia: «Considerata l’assoluta mancanza di par condicio e il blocco mediatico che abbiamo subito – commenta Gawronski – il risultato che abbiamo ottenuto è molto positivo».
Così, oltre Veltroni, per ora sono certi solo Letta, Bindi (470 su 475) e la «sorpresa» Adinolfi (più di 100 collegi su tutto il territorio). A bocce ferme, però fra Rosy Bindi ed Enrico Letta (entrambi critici con il meccanismo delle liste bloccate che mantiene il primato delle oligarchie) si accende una disputa. La Bindi ripete con orgoglio di essere stata l’unica ad opporsi, quando venne approvata la norma e ricorda: «Letta c’era, c’eravamo tutti, quando sono state fatte le regole, ma solo io ho votato contro la regola che introduceva le liste bloccate». E il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, piccato, risponde: «Rosy Bindi nella sua foga critica fa un po’ di confusione. Il voto contro le liste bloccate proposto da Renato Soru nel Comitato dei 45 – ricorda Letta – ebbe 8 voti favorevoli tra cui il suo, il mio e quello di Arturo Parisi. Dispiace questa caduta di stile. Dobbiamo batterci contro le cose che non vanno con tutti quelli che ci stanno – conclude il candidato -, non difendere la presunta esclusiva, solitaria, della purezza critica».
L’ultimo paradosso, poi, è esploso a Nettuno, dove gran parte degli ex consiglieri comunali di Margherita e Ds che si rifanno alla lista per Veltroni si sono auto-esclusi, temendo l’annullamento della lista che li vedeva in corsa. Motivo? Il Consiglio comunale di Nettuno è stato sciolto un anno e mezzo fa per infiltrazioni della criminalità organizzata nell’amministrazione, uno dei casi previsti dall’articolo 7 del regolamento. Adesso sperano in un chiarimento, come quelli che sono appesi ai sì e ai no della verifica a campione sulle firme. Una specie di lotteria, visto che molti hanno dovuto fare qualche «magheggio» per far quadrare i conti.
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