di Luca Telese
Roma – Il governo di Romano Prodi si salva per il rotto della cuffia – due senatori – sulla Rai, e si vede costretto a ritirare il suo documento, per non correre rischi, al termine di un’altalena di voti senza rete. Si salva, certo, ma solo perché Francesco Storace e la sua pattuglia di due senatori scelgono di non sostenere la mozione della Cdl dopo le polemiche con An. È un dissenso una tantum, ovviamente, quello di Storace, frutto di una guerra di veti incrociati. Ed è per questo che quella dell’Unione di ieri si rivela una vittoria fragile, traballante, ed è seguita da polemiche furibonde, sia nella Cdl che nel centrosinistra.
Al termine di una piccola maratona parlamentare a Romano Prodi vengono a mancare voti da tutte le parti: a sinistra, al centro, al destra. Lamberto Dini, il più moderato dei leader della coalizione non è più nella maggioranza, e infatti non vota (insieme ai suoi fedelissimi Natale D’Amico e Giuseppe Scalera). Nell’ala più radicale della coalizione, invece, Antonio Di Pietro preannuncia strappi clamorosi su Panorama («Prodi deve fare un passo indietro»), che per qualche minuto fanno correre i senatori di maggioranza ai terminali delle agenzie. Poi il leader dell’Italia dei Valori corregge il tiro, ma conferma il punto di critica drastico: «Bisogna ristrutturare la squadra di governo». Intanto, in Aula, la coppia di vietcong radical-ulivisti Willer Bordon-Roberto Manzione imperversa, e si incarica di destrutturare quel che resta della maggioranza (e non è difficile, vista l’abilità parlamentare dei due, e lo stato delle cose). Lo fanno con una risoluzione che pare un missile a stadi, articolata in sei diversi punti (che finiranno per raccogliere sei diverse maggioranze!): l’hanno genialmente ribattezzata «la taglia-e-cuci».
Bordon e Manzione in tutta la giornata paiono elettrici: prendono la parola, propongono documenti, fanno fuoco e fiamme. E così, quando Tommaso Padoa-Schioppa decide di far ritirare la mozione del governo, dopo i due voti in cui miracolosamente l’Unione è riuscita a non andare sotto (quelli sui documenti unitari del centrodestra), capisci che la maggioranza non se la sente di rischiare sulle proprie forze.
Ma tutta la cronaca della giornata pare quella di uno stillicidio. Alle tre l’Assemblea del Senato affronta a raffica tre risoluzioni presentate dal leghista Calderoli. Per la prima ci sono 157 no e 153 sì. La seconda viene ritirata. Per la terza 157 no, 96 sì. Per la quarta arrivano 157 no e 153 sì. I numeri ballano. La maggioranza perde il voto del senatore diessino Renzo Barbieri. Passano sei minuti, e mentre gli uomini di tutti i gruppi provano a rifare i conti si arriva al documento della Cdl, firmato da Renato Schifani, Altero Matteoli, Francesco D’Onofrio, Roberto Castelli e Mauro Cutrufo.
Per qualche attimo l’incendio delle lampadine rosse e verdi sul tabellone non si lascia decifrare. Poi il colpo di scena: con un solo voto di differenza, 155 a 154 (e un astenuto) il Senato respinge la risoluzione della Cdl. Passa un minuto e si vota sulla seconda risoluzione dell’opposizione, sottoscritta dai senatori della Vigilanza Rai. I sì sono 153, i no 155 (anche qui un astenuto). Insomma, margini strettissimi. È a questo punto che si corre ai tabulati, e si scopre che risultano assenti Francesco Storace e i suoi due senatori Stefano Losurdo e Stefano Morselli (l’astenuto, invece, è Domenico Fisichella).
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