di LUCA TELESE
Giancarlo Elia Valori ha tre o quattro vite, ed è abituato a farle danzare di fronte all’interlocutore, con il piacere segreto di chi ama stupire. Veneziano di nascita, romano di adozione, democristiano per Dna e vocazione, anche e soprattutto dopo la scomparsa dello scudocrociato, adesso ha pubblicato un saggio sull’Olocausto, ed ovviamente la prima cosa che ti chiedi è: come mai?
Valori si è fatto le ossa nella Rai bernabeiana all’inizio degli anni Sessanta. In un paio di decenni ha diretto tutto ciò che si poteva dirigere di importante attraversando lo Stato e il parastato: già presidente della Sme e di Autostrade, oggi è alla guida di Sviluppo Lazio. Per diletto o necessità è anche un ambasciatore ufficioso del nostro Paese nel mondo, grande mediatore economico in nazioni lontane. Entri nella sua casa di Trastevere e ti pare di affacciarti in un angolo di Estremo Oriente. Bassorilievi di foggia orientale, grandi quadri, busti…
Potenza delle diplomazie ufficiose. E infatti Valori è contemporaneamente uomo d’affari, dirigente confindustriale, docente di economia e saggista, detentore di una cattedra all’Università ebraica di Gerusalemme. Così, malgrado le mille cose che affollano le sue vite, è riuscito a trovare il tempo per scrivere Antisemitismo, Olocausto e negazione. La grande sfida del mondo ebraico nel ventunesimo secolo (Mondadori, pagg. 202, euro 17) che esce oggi, con una tesi forte e una analisi contaminata a cavallo fra storia e attualità.
Anche qui, per capire il legame del personaggio con la Shoah, sono d’aiuto un altro dettaglio cruciale della sua storia personale e una foto. La prima storia è quella della madre, che durante la guerra, a Venezia, salvò centinaia di ebrei dalla deportazione: Valori l’ha raccontata in un altro libro edito dalla Mondadori, I Giusti in tempi ingiusti, ed ha consacrato a questa memoria una parte della sua attività internazionale. Chi scrive lo ha visto entrare l’estate scorsa nell’ufficio di Shimon Peres a Tel Aviv, accolto come un vecchio amico. E anche grazie a questo legame antico, sicuramente, Peres ha firmato le prefazioni a entrambi i libri. La foto è della seconda metà degli anni Settanta, in bianco e nero, e ritrae due uomini che conversano in una terrazza. Il più anziano, con una inconfondibile benda all’occhio, è Moshe Dayan. Il più giovane, ovviamente, è Valori, che anche del leggendario comandante dell’esercito israeliano fu amico.
Così, se Valori ha scritto questo saggio, è per dimostrare la sua idea forte: quella cioè che il vecchio antisemitismo sia in perfetta continuità con il nuovo, e che i due secoli di intolleranza antiebraica che il libro abbraccia, partendo dal caso Dreyfus per approdare alle mostre negazioniste di Teheran, siano diversi momenti di un unico, sincretico e secolare odio antisionista. Cambiano gli attori sulla scena, ovviamente: all’antico antisemitismo europeo ottocentesco si sostituiscono la scientifica persecuzione nazista, e poi quella attuata nell’Europa orientale e nei Paesi satellite dell’impero sovietico. Ma un unico filo e un comune obiettivo tengono insieme tutte queste pratiche di intolleranza e le attuali campagne costruite a tavolino nei Paesi leader dell’integralismo islamico.
Il cuore del saggio è nella quarta sezione, che compie una ricognizione sull’antisemitismo e sul negazionismo contemporaneo, passando in rassegna la carta geografica della nuova intolleranza, dall’Arabia Saudita all’Iran, a quella poco conosciuta dell’Autorità nazionale palestinese. Racconta Valori: «Lo stesso Mahmoud Abbas, presidente dell’Anp, si è laureato con una tesi intitolata: “L’altro lato: le reazioni segrete fra il nazismo e la dirigenza sionista”». L’obiettivo di questa tesi? Dimostrare, come spiega Valori, «un legame fra il sionismo e lo stesso Hitler per costringere gli ebrei a scappare in Palestina». Ipotesi che si commenta da sé per la palese inverosimiglianza, ma che è un ottimo esempio per dimostrare quel che sta più a cuore dell’autore: il legame stretto che oggi unisce il negazionismo e la questione mediorientale. Ecco perché «ricordare l’efferatezza della Shoah, è un modo per chiarire la differenza tra Occidente e barbarie, tra politica e sterminio, tra identità europea e lavori universali di pace». L’ebraismo «è parte fondante dell’identità europea, e non è un caso che l’Europa antisemita, si è sempre pensata come anti-Europa, come propaggine estrema dell’Asia e dei suoi sistemi politici, incentrati sulla divinizzazione del Capo, e sull’asservimento delle masse, come esplicitamente teorizzava Hitler».
Così, per l’autore, il modello totalitario-antisemita è l’opposto di quello custodito dalla tradizione ebraica: «Perché l’ebraismo – aggiunge – era il liberalismo, l’autonomia individuale, l’economia del sovrappiù, lo sviluppo tecnico e scientifico». Una volta stabilita questa equazione, Valori sottolinea che anche il nuovo antisemitismo ha un moderno sostrato economico-ideologico: «Oggi il negazionismo sulla Shoah desidera raggiungere questi scopi politici: in primo luogo disattivare le difese europee e occidentali contro l’Islam radicale, visto come nuova potenza anticapitalista globale. E subito dopo indebolire, e possibilmente bloccare l’economia occidentale rendendola dipendente dai cicli del petrolio e del gas di area islamica, con la parziale eccezione dell’Arabia Saudita, il cui interesse è oggi evitare l’egemonia iraniana».
Ecco perché l’autore considera il discorso del presidente iraniano Ahmadinejad nella «Conferenza scientifica» del 12 dicembre 2006 come il cuore di una moderna campagna egemonica lanciata dall’Iran: «Se si elimina con la propaganda questo senso di colpa dell’Occidente che permette all’Europa di sostenere Israele, allora lo stato ebraico si indebolisce al punto da essere alla totale mercé dell’Islam». Seguendo lo schema del saggio di Valori, poi, si scopre che la fonte pressoché esclusiva dell’antisemitismo islamico sono i revisionisti europei cresciuti o all’estrema destra o all’estrema sinistra (come il francese Roger Garaudy, ex comunista convertito all’Islam), ed ecco un’altra maglia della catena che si salda alle altre. Qui l’autore si fa polemico: «Ecco perché l’Occidente dovrebbe sostenere tutte le aree culturali dell’Islam che non ne possono più dell’antisemitismo negazionista, invece di mantenere in Europa, magari nominandoli consulenti dei governi, alcuni teorici del Jihad in Europa!».
Chiudi il libro di Valori, esci dalla casa di Trastevere con le sue vetrine, particolarissime finestre spalancate sul mondo, e ti rendi conto che con Antisemitismo, Olocausto e negazione le barriere che separano il passato e il presente, la storia contemporanea dalla geopolitica, le rotte del petrolio e le motivazioni profonde del nuovo antisemitismo sono definitivamente saltate.
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