Luca Telese – da Roma
Se vuoi capire, alla fine la sintesi migliore la trovi nell’ultimo film di Nanni Moretti, il celeberrimo Caimano, quando uno dei protagonisti dice: «Berlusconi ha vinto vent’anni fa quando ci è entrato nella testa con le sue televisioni». La storia della guerra armata e catodica fra il Cavaliere e la sinistra, dunque, è una storia molto antica, ed affonda le sue radici negli albori dell’emittenza italiana; a voler essere brutali, è forse anche la storia di una concorrenza mancata. E basterebbe leggere gli studi di un professore universitario come Enrico Menduni, ex dirigente del Pci, per ricordarsi che all’inizio Botteghe Oscure pensava di costruire un suo circuito nazionale di tv locali intorno alla romana Videouno. In quel canale – toh, guarda – lavoravano alcuni che poi sarebbero diventati la spina dorsale di Raitre, ad esempio Maurizio Mannoni e Rosanna Cancellieri, e quella sfida preistorica, fu una sfida persa perché le emittenti locali di partito furono sgretolate prima dalle direttive del partito, e poi dai debiti del partito. Proprio negli stessi anni, mentre perfino Mirko Tremaglia volava in Cile (lo ha raccontato Vincenzo Vinciguerra nel suo libro Ergastolo per la libertà) a chiedere soldi ai pinochettisti per finanziare un canale televisivo della Fiamma che non si sarebbe fatto mai, Silvio Berlusconi si inventava le cassette dei tg e costruiva un circuito tutto suo intorno a Telemilano. Questa fu la prima guerra catodica. La seconda esplose a metà degli anni Ottanta, ed ebbe il suo culmine nel 1987, con la storica campagna guidata dall’allora responsabile emittenza del Pci, Walter Veltroni. Chi si volesse divertire con i reperti, anche qui troverebbe un libro (Io, Berlusconi e la Rai, Editori Riuniti) in cui l’attuale sindaco di Roma raccolse i suoi scritti sul piccolo schermo, quelli che sostennero e affiancarono l’indimenticabile campagna: «Non si interrompe un film, non si spezza un’emozione». E ci fu perfino uno spot contro gli spot che diffondeva questo slogan, perché la campagna di Botteghe Oscure era contro le interruzioni pubblicitarie che venivano permesse durante la proiezione dei film. Ci fu perfino un convegno organizzato e moderato da Veltroni al Piccolo Eliseo, a Roma, intervennero tutti i grandi registi di sinistra, da Ettore Scola, a Citto Maselli, a Luigi Magni; la campagna fu efficacissima e rimase nella testa di tutti. Ma poi gli spot si fecero, e ci sono ancora oggi.
Senza voler citare, era l’85, l’oscuramento dei pretori sui tre canali Mediaset, il monoscopio con il messaggio di ribellione, il pronunciamento di tutti i grandi artisti Mediaset che probabilmente sono anch’essi un capitolo di questa storia, la terza guerra catodica si riaccese sulla ribalta nazionale nel 1994. Berlusconi aveva vinto le elezioni, era rappresentato dai vignettisti con un’antenna piantata in testa, i leggendari comitati Bo.Bi. (Boicotta il Biscione) invitavano gli italiani a cessare ogni acquisto alla Standa. E in quella temperie nacque l’idea di fare un referendum che limitasse ancora una volta ed emendasse la legislazione sull’emittenza, restringendo gli spazi e le frequenze di Mediaset. La campagna fu guidata da un propagandista dall’eloquio straordinario come Beppe Giulietti, già segretario dell’Usigrai, deputato diessino ed animatore infaticabile del comitato. Ancora una volta scesero in campo gli artisti e gli intellettuali, i manifesti con il «sì» incartarono le capitali, e ancora una volta dalle urne uscì fuori una sconfitta.
Una nuova guerra catodica divampò poi nel 1999, quando nella sua prima estate di vita il governo D’Alema, in pieno Ferragosto, varò il decreto che coniava il termine della par condicio, e lo declinava in forma giuridica. Si pensava ancora, allora, a sinistra – tutti, dal più moderato Castagnetti, al più radicale Fausto Bertinotti -, che la vittoria di Berlusconi del ’94 era stata il frutto di un predominio mediatico, le trasmissioni taroccate, le battute di Ambra su Achille Occhetto-diavoletto, le interviste per strada di Mengacci, che casualmente trovava solo simpatizzanti del Polo. E si pensava che, una volta regolamentato l’accesso all’etere, alle tribune elettorali, ai programmi d’informazione, la fortuna elettorale di Berlusconi sarebbe declinata con la stessa effimera volatilità di uno spot promosso e cancellato. Era il periodo in cui Achille Occhetto, scherzando, diceva: «Ci sono dei bambini figli di compagni, che canticchiano E Forza Italia…». E anche quella volta le cose non andarono come previsto, la guerra catodica si chiuse con il varo della Nave Azzurra, e così dal Porta a porta televisivo Berlusconi passò «al porto a porto» e vinse le famose regionali che costarono Palazzo Chigi a D’Alema.
Già prima della legge del ministro Gentiloni, l’idea persistente del gruppo dirigente dell’Unione era quella che il berlusconismo fosse contenibile via etere, e che i rapporti di forza politici potrebbero cambiare spedendo Emilio Fede e la sua Rete4 sul satellite. Sarà vero? Intanto i dati dell’Osservatorio radicale dicono che nei telegiornali Prodi è primo per minutaggio e che sorpassa il Cavaliere. E che questo non influisce di una virgola sui sondaggi demoscopici che continuano a dare Forza Italia in testa. Forse ha davvero ragione Moretti: «Berlusconi ha vinto vent’anni fa con le sue televisioni». Ma proprio per questo può vincere anche se Gentiloni gliele manda sul satellite.
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