Luca Telese
Se sotto l’interrogazione non ci fosse la firma di un senatore serio e rodato, dall’esperienza di governo regionale nel Lazio, come Salvatore Buonadonna, si potrebbe pensare ad uno scherzo. Rifondazione comunista, con una interrogazione del suo gruppo al Senato, attacca il sindaco di Roma che più ha coccolato l’idea della sinistra ecumenica, degradandolo al ruolo di piccolo duce, addirittura capo di una guardia pretoriana, una piccola milizia di vigili urbani, una Gladio capitolina. Eppure è tutto vero, ed infatti la denuncia di Rifondazione è diventata ieri prima un atto ispettivo del Parlamento, e poi una notizia curiosa sulle agenzie. E forse non ne avremo neanche scritto, se non fosse l’ennesima frecciata di Rifondazione contro l’apparente infrangibilità del mito veltroniano.
Prima critiche feroci dopo la sua intervista a Repubblica, adesso l’accusa di coltivare attraverso i vigili urbani – ma dai! – un potere personale abusivo. D’altra parte, l’idea del pizzardone questurino, è sempre stata un mito di destra, i vigili con la pistola erano quelli invocati dal sindaco Gentilini, roba da leghisti, o tutt’al più, appannaggio di qualche sindaco della destra folcloristica, ad esempio l’ex sindaco di Taranto, Giancarlo Cito. Veltroni invece era anche per la sinistra antagonista il sindaco ecumenico che mette d’accordo tutti, il sindaco democratico che discute con tutti, il sindaco pluralista che viene sostenuto da tutti. Memorabile la battuta di Gianni Alemanno dopo la nascita della lista Moderati per Veltroni animata da Alberto Michelini e un frammento di Opus Dei romano: «A questo punto – aveva detto sconfortato – ci mancano solo i Fascisti… per Veltroni». E Rifondazione fino a ieri aveva sempre apprezzato la sinistra un po’ arcobaleno e un po’ kennedyana vagheggiata da Walter, il sindaco che esponeva i ritratti di Simona Pari e Simona Torretta sulla scalinata del Campidoglio, il sindaco che censurava Nunzio D’Erme per la vagonata di letame scaricata sugli scalini della residenza romana di Silvio Berlusconi, a via del Plebiscito, ma che il giorno dopo apriva il dialogo con gli antagonisti di Action.
E invece no, ieri questo idillio si è rotto e da Buonadonna & Compagni è arrivata la scomunica: «È vero che esiste a Roma un gruppo speciale, una sorta di guardia pretoriana composta da circa 70 agenti di polizia municipale, che risponde direttamente al Gabinetto del sindaco, e non è sottoposto al comandante del gruppo?». Sembra, insomma, che la strana guerra fra il partito di Franco Giordano e il sindaco, sia uno strano effetto collaterale del paradosso che attanaglia l’Unione. Ormai ogni disputa politica, dopo il Big Bang della Finanziaria, viene filtrata di mille lenti deformanti, e diventa una lontana parente della realtà, come lo erano le ombre nella caverna di Platone. Uno strano paradosso vuole che i sindaci diessini come Veltroni e Cofferati rappresentino in questo momento la vera anima critica della maggioranza, e che Rifondazione invece tenda spesso a fare da cane da guardia. Perché Rifondazione deve il suo peso politico al rapporto con Prodi, e tende a organizzare la sua azione politica, con un assetto di lotta e di governo, ma poi soprattutto di governo. Mentre il modello dei sindaci, ancorati nelle contraddizioni delle metropoli, è un modello molto meno ideologico, molto più creativo, tendenzialmente alternativo. Ha l’aria un po’ plumbea che il governo dell’Unione ha assunto quando si è calato nel tunnel della Finanziaria.
E così, anche la disputa sui pizzardoni veltroniani risente di questo clima, ogni licenza dei sindaci diventa l’anticamera di un progetto autoritario, un’ordinanza sulla birra sembra l’anticamera di un colpo di Stato, ogni festa organizzata, un inaccettabile sfarzo. In un governo in cui i due ministri che hanno predisposto l’indulto – Giuliano Amato e Clemente Mastella – improvvisamente dicono che a loro quel provvedimento proprio non piaceva, che in fondo l’hanno subito; in un governo in cui i sottosegretari di Rifondazione sfilano in piazza contro il ministro dei Ds; in un governo in cui Massimo D’Alema protesta in Consiglio dei ministri per i tagli alla Farnesina; in cui Padoa si differenzia da Schioppa e in cui il più stretto consigliere di Prodi, Angelo Rovati, opera all’insaputa del suo premier, sembra che tutto si risolva nella dialettica fra una cosa e il suo contrario. Ecco perché la linearità un po’ dirigistica dei sindaci, e il carisma mediatico di Veltroni, vengono percepiti come un problema. Il gruppo Prc del Senato chiede «ai ministri competenti, se non ritengano di intervenire, alla luce dell’incredibile atto di arbitrio commesso nei confronti dei senatori Buonadonna e Martone». Insomma. Per due senatori maltrattati, si è aperta una piccola guerra di religione. E Veltroni per Rifondazione sembra diventato un nuovo Nerone.
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