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“Il sol dell’avvenire”

ago 05 2008 Published by admin under Blog

"Eravamo quattro Br al bar"



FULVIA CAPRARA – La Stampa


A Reggio Emilia, «città medaglia d’oro della Resistenza», un gruppo di vecchi amici s’incontra. Abbracci, pacche sulle spalle e quel filo di commozione che segna i rapporti di chi ha condiviso tanto. Poco dopo sono tutti a tavola e, mentre sta per per arrivare la polenta col cinghiale, la trama dei ricordi s’infittisce. «Vi ricordate le riunioni?» e «il letto collettivo fatto di pannelli di spugna?» e «la manifestazione contro le Basi Nato? L’aveva organizzata la Fgci, c’era anche Veltroni…». Le foto in bianco e nero danno corpo alle memorie, si vedono gli striscioni contro la guerra in Vietnam e i reduci sorridono: «Sapevamo fare la colla, mettendoci dentro qualche pezzo di vetro, così chi cercava di togliere i manifesti… andavamo ad attaccarli di notte, poi all’alba eravamo a volantinare. Ma me lo dici quando c… dormivamo?»

Compagni di antiche battaglie, come tanti, solo che stavolta sono ex brigatisti. Alcuni hanno fatto un passo indietro appena in tempo, altri si sono dissociati, altri no. Per questo Il sol dell’avvenire, in cartellone al prossimo Festival di Locarno, ideato, scritto e realizzato dal giornalista Giovanni Fasanella e da Gianfranco Pannone che firma la regia, è un film destinato a fare scandalo. Non solo perché qualcuno lo vedrà come un Sapore di mare in salsa Br, ma perché, spiega Fasanella, mette il dito in una ferita non ancora risanata: «Il terrorismo rosso è un prodotto degenerato dell’ideologia, della cultura, della tradizione politica della sinistra italiana di ispirazione marxista-leninista. Il legame tra l’esperienza delle Brigate rosse e il filone insurrezionalista della Resistenza comunista era molto stretto, benché sempre negato».


Realizzato con il sostegno del Ministero, liberamente tratto dal libro di Fasanella e di Alberto Franceschini Che cosa sono le Br, Il sol dell’avvenire va a scavare proprio lì, tra strade ancora oggi intitolate alla Rivoluzione d’ottobre e i busti di Lenin che nessuno si sogna di mandare in cantina: «Il filo conduttore – dice Pannone – lo abbiamo trovato a Reggio, è il filo che lega i primi brigatisti rossi a una tradizione ribellista che è cattolico-cristiana, anarco-socialista e, infine, comunista, ben salda in quella terra dai tempi delle cooperative rosse di fine Ottocento e dei preti della plebe. Tradizioni molto locali, ma che sono anche il segno di qualcosa di più vasto». Insieme a Franceschini detto Franz, classe ‘47, fondatore delle Br con Renato Curcio, arrestato nel ‘74, dissociato nell’83, in carcere per 18 anni e oggi direttore di una coperativa di servizi sociali, parlano Paolo Rozzi, nato in una famiglia di partigiani e mai entrato nella lotta armata, Tonino Loris Paroli, ex-operaio metalmeccanico che, dopo aver aderito alle Br nel ‘74 e aver scontato 16 anni di carcere, oggi vive a Reggio e fa il pittore, Annibale Viappiani, che non prese mai la strada delle Br e oggi è delegato sindacale e Roberto Ognibene che invece vi entrò nel ‘72, fu arrestato due anni dopo e ha scontato di trent’anni di carcere. Non è stato semplice convincerli e c’è anche chi, come Prospero Gallinari, ha detto di no.

In tanti avranno da ridire sul film, soprattutto per la presenza dei testimoni: «Si arrabbieranno – prevede Fasanella – quelli che hanno sempre tenuto un atteggiamento omertoso sulla nascita delle Br e quelli per cui la Resistenza è un tabù intoccabile. E si arrabbierà anche chi ritiene che un ex-terrorista non possa parlare». Che cosa gli sarà risposto? «Io dico che i terroristi, se hanno pagato il loro debito con la società, hanno diritto di parola. Non devono fare show, ma informazione sì. Ci sono ancora zone d’ombra su cui fare luce». Nelle ultime immagini del film scorrono le foto delle vittime, da Moro a D’Antona: «Il tema è d’attualità, le Br ci sono ancora, quel terreno non è mai stato bonificato a fondo, e qualcuno ci deve dire perché».

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Il ricordo della strage /2

ago 04 2008 Published by admin under Blog

«Le lettere (e una cena) a Giusva e Mambro: vi perdoniamo»

ROMA – La strage di Bologna, per loro, fu l’ incontro giovanile con la morte, ma anche l’ inizio di una nuova vita. Lei, Anna Di Vittorio, nello scoppio alla stazione perse il fratello Mauro; lui, Gian Carlo Calidori, uno degli amici più cari, Sergio Secci. Due ragazzi di 24 anni, più o meno la loro età. Per trovare una spiegazione al lutto che li aveva colpiti, cominciarono a frequentare l’ Associazione familiari delle vittime della strage. Lì si sono conosciuti, si sono innamorati, nel 1983 si sono sposati. Quest’ anno festeggiano le nozze d’ argento, anniversario coinciso con il primo «giorno della memoria» dedicato dalle istituzioni ai caduti della lunga stagione del terrorismo. Una vittoria per Anna e Gian Carlo, che con quell’ obiettivo avevano inondato di lettere alte cariche dello Stato e deputati di ogni schieramento, e che nel 2007 hanno regalato a Giorgio Napolitano una pianta di melograno, che ora cresce nella tenuta presidenziale di Castel Porziano, in ricordo di tutti i morti degli «anni di piombo». Quelli uccisi dalla violenza politica, ma in futuro pure quelli ammazzati da mani mafiose. «Ai quali spetta pari dignità – spiega Calidori – perché il 9 maggio, giorno scelto per la celebrazione, è l’ anniversario della morte di Aldo Moro, ma anche di Peppino Impastato, "il ragazzo dei cento passi"». Fin qui l’ impegno «pubblico» di una coppia nata sulle rovine della stazione dilaniata dalla bomba esplosa 28 anni fa. Poi c’ è quello «privato». Un cammino di riconciliazione che s’ è spinto fino a cercare, scrivere e incontrare i «colpevoli» della strage: Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, un’ altra coppia, pluriergastolani per svariati omicidi, condannati anche per la strage del 2 agosto 1980; un crimine di cui si sono sempre proclamati innocenti, a differenza dei tanti altri commessi e ammessi. Anna e Gian Carlo, che da tempo si sono distaccati dal percorso dell’ Associazione bolognese, sono gli unici familiari o amici delle vittime di quell’ eccidio ad aver compiuto un simile passo. Una delle lettere che hanno inviato ai due ex terroristi neo-fascisti porta proprio la data del 9 maggio scorso. Appena tornati dal Quirinale, dove avevano partecipato alla celebrazione del «giorno della memoria», hanno scritto a Mambro e Fioravanti: «Voi, a suo tempo, avete agìto la violenza. E in questo modo avete contribuito a creare e coltivare quel clima di violenza nel quale, poi, noi abbiamo fatto la nostra esperienza – personale, individuale, intima – di morte e lutto. Per questo vi perdoniamo: per sempre e in modo assoluto, senza contingenza di scambio». Quanto alla questione della strage, per la quale il dubbio permane in molti nonostante la sentenza definitiva di condanna, la posizione dei due è netta: «Se siete colpevoli, noi vi perdoniamo; se siete innocenti, noi siamo felici per voi e insieme con voi. Vi diciamo questo con sincerità, serenità e – soprattutto – senza pregiudizi». In una precedente lettera, Mambro e Fioravanti avevano scritto: «Ci perdonate per una cosa che non abbiamo fatto, ma questo non toglie "peso" al vostro gesto, anzi… Noi, d’ istinto ma anche dopo averci ragionato, dobbiamo accettare il vostro perdono. Perché forse di questa storia ormai, dopo tanti anni, esiste un livello simbolico che supera quello della realtà, e allora voi e noi siamo dei simboli, e pazienza se dei simboli non perfetti. Voi perdonate i "terroristi", e noi "terroristi" dobbiamo compiere quel gesto minimo di umiltà che consiste nell’ accettare sempre e comunque un gesto di riconciliazione, da chiunque provenga e qualsiasi ne siano le motivazioni». Per Anna Di Vittorio e Gian Carlo Calidori, tuttavia, la questione bolognese resta aperta: «È necessario sciogliere nodi e grumi. Tutti. Per questo noi, fin dall’ inizio, abbiamo chiesto l’ istituzione di una Commissione per la Verità e la Riconciliazione, sulla base della nobile esperienza sudafricana di Nelson Mandela e Desmond Tutu». Niente scambi, però: «Il nostro perdono è stato ed è un gesto unilaterale». Ma «in Italia non c’ è stata solo la strage alla stazione di Bologna, purtroppo. Da piazza Fontana in poi ci hanno fatto crescere e vivere, per tanti anni, a pane e bombe, pane e pistolettate, pane e bottiglie molotov». E se ormai sembra un’ illusione immaginare che la verità possa arrivare dai tribunali, è giusto cercarla insieme attraverso altre strade. I due ex terroristi «neri» hanno risposto ribadendo la propria posizione sulla condanna per strage: «I conti in quel processo non tornano», insistono, e «noi non abbiamo mai voluto forzare nessuno… Libero ognuno di rivolgerci la parola oppure no, di odiarci oppure di volerci bene. Questa libertà ovviamente vale anche per voi, e nessuno vi chiederà mai di credere alla nostra innocenza… In attesa di incontrarvi, un forte abbraccio». Infine l’ incontro c’ è stato. A fine giugno, una cena nella casa romana dove vivono Mambro e Fioravanti – in libertà condizionale lui, in regime di detenzione domiciliare speciale lei – insieme alla figlioletta Arianna, nata dopo che i suoi genitori hanno messo il naso fuori dal carcere. Due giorni più tardi, le due vittime «collaterali» della strage hanno scritto una nuova lettera ai condannati: «Abbiamo il dovere, sia noi sia voi, di costruire e coltivare una vita in cui ci sia sempre meno spazio per la violenza… Noi pensiamo che i doveri debbano essere adempiuti e che ai diritti si possa anche rinunciare. E noi abbiamo rinunciato, da tempo e per sempre, al diritto di provare l’ umano sentimento del rancore per la violenza patita. Questo è quello che vogliamo lasciare in eredità – eredità spirituale, si capisce – ad Arianna, ai suoi figli e ai figli dei figli. Ci piacerebbe molto farlo anche insieme a voi. E siamo certi che questo sia possibile».

Bianconi Giovanni (Corriere della Sera)

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Sergio Cofferati: "Chi ha una carica istituzionale non cerchi di riscrivere la storia"


Intervista di Aldo Balzanelli – La Repubblica

BOLOGNA – «Credo sia grave che una carica istituzionale solleciti la riapertura di un processo sulla base di perplessità della pubblica opinione. Se esistono elementi per farlo lo decide semmai la magistratura. Ho apprezzato molto di più delle parole di Fini quelle del ministro Rotondi nel suo discorso di oggi davanti ai familiari delle vittime».

Il sindaco Sergio Cofferati, che dopo le tensioni suscitate dall´intervista di un suo assessore ha appena tirato un sospiro di sollievo per aver scongiurato il rischio che per la prima volta in 28 anni il governo disertasse la manifestazione che ricorda la strage del 2 agosto 1980, è preoccupato per le parole contenute nel messaggio del presidente della Camera sugli esiti giudiziari dell´inchiesta sull´attentato.

Sindaco, come mai secondo lei da quasi tre decenni, puntuali ad ogni anniversario si rinnovano tensioni e polemiche intorno a questo appuntamento?

«La manifestazione del 2 agosto ha un lato positivo e uno negativo. Quello positivo è la grande partecipazione popolare e istituzionale che si rinnova ogni anno e che non ha riscontri in nessun altro appuntamento in tutta Italia: è uno spaccato bello di un Paese che non dimentica. Proprio questa carica simbolica però diventa vettore per le polemiche legate alla politica spicciola. È un paradosso, ma la credibilità e la partecipazione sono così elevate da diventare catalizzatore di polemiche».

Quella di Fini però non la si può definire politica spicciola.

«C´è chi vuole riscrivere o rileggere la storia degli anni più tormentati della nostra democrazia. La strage di Bologna e la storia recente di questa città restano uno snodo decisivo sul quale esercitare maggiormente i tentativi di revisionismo. Attività che una carica istituzionale non dovrebbe praticare».

Un ruolo molto attivo l´ha svolto sempre in questa direzione il presidente Cossiga. Secondo lei perché?

«È difficile da comprendere quale sia la ragione. Nel suo racconto di quegli anni c´è la riproposizione testarda di tesi mai provate insieme a ricostruzioni invece molto verosimili. Sul 2 agosto però vengono periodicamente rilanciate ipotesi che nel tempo la magistratura ha vagliato e poi accantonato perché prive di fondamento».

Torniamo alla manifestazione di oggi. C´è stato qualche fischio, ma soprattutto metà della piazza ha voltato le spalle e se n´è andata nel momento in cui cominciava a parlare il ministro Rotondi.

«Un atteggiamento che trovo profondamente sbagliato. Chi se ne va prima di ascoltare nega legittimazione al proprio interlocutore».

Invece Rotondi ha stupito favorevolmente molti con il suo intervento "a braccio".

«Sì, ho trovato molto efficace la decisione di rinunciare al testo ufficiale e interloquire con una piazza che aveva mandato segnali di ostilità. Le parole che ha pronunciato sono state molto precise ed efficaci su tre punti: se non piacciono i giudici che fanno politica, non devono piacere neppure i politici che fanno i giudici. È la miglior risposta alla riproposizione delle "piste alternative". Poi il riconoscimento dell´antifascismo come valore fondamentale; e infine la scelta del terrorismo di Bologna come luogo del dialogo da colpire. Come luogo del "buon colloquio", del rapporto dialettico tra culture diverse.

Alla fine comunque, a parte qualche fischio, ha prevalso una convergenza larghissima».

Pace fatta insomma con il ministro Rotondi.

«Tutto si è risolto nel migliore dei modi, anche perché il governo sostituendo il Guardasigilli, aveva già dimostrato un´attenzione positiva alla manifestazione, scegliendo di neutralizzare le possibili strumentalità».

Ma dopo 28 anni non pensa che la forma scelta per ricordare le vittime della strage sia diventata un rito ormai un po´ datato?

«C´è una cosa che resta fondamentale in questo appuntamento: il livello della partecipazione. È una data molto sentita, non solo a Bologna, e per nulla rituale. Poi c´è qualcosa che potrebbe essere rivisto. Mi piacerebbe molto un´occasione di riflessione sulle tante pagine che hanno segnato e ferito Bologna per un arco di tempo molto lungo: dalle stragi sui treni all´omicidio di Marco Biagi.

Alcune verità giudiziarie sono assodate, ma ci sono elementi che non sono sufficientemente chiari, non soltanto relativamente ai mandanti di alcuni attentati. Penso ad esempio alla vicenda della Uno bianca, una strage strisciante, uno stillicidio di atti criminali che ha pesato molto sulla percezione di stabilità di un territorio e rappresenta ancora oggi una delle pagine più inquietanti e non del tutto chiarite».

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