Cuori contro, alle origini del dolore

Prendi in mano un libro, ne leggi le oltre 460 pagine e ti accorgi che per la gran parte di esse è come se tu facessi un viaggio a ritroso nel tempo, scavando dentro la memoria personale, oltreché collettiva, di una stagione a tutti nota come anni di piombo, in realtà, ormai, lontana nel tempo, ma tutt’altro che metabolizzata sia a livello psicologico sia affettivo, sia, soprattutto, storico e politico.

Luca Telese si era già beccato una valanga di critiche, nella migliore delle ipotesi e di insulti, nella peggiore, per aver osato, con il suo Cuori neri, dare voce anche alle vittime della parte politicamente scorretta, quelle, cioè, morte perché dalla parte sbagliata, a destra dell’emiciclo metaforico rappresentato dalla nostra tragica coscienza nazionale. Aveva, in altre parole, avuto il coraggio che nessun altro giornalista e scrittore aveva avuto, di mettere le mani nella marmellata – o nella merda a seconda dei punti di vista – di un periodo storico dove la verità l’hanno fatta da una parte sola, a sinistra come, del resto, avviene regolarmente da oltre 40 anni.

In fondo, sembrava voler dire – e diceva e scriveva il Telese – il sangue non ha distinzione e i dolori e le tragedia di quell’epoca di guerra civile erano gli stessi e avevano, in fondo, il medesimo valore di mercato. Altissimo, se si pensa a quante vite, spesso giovani, sono state troncate senza una ragione plausibile se non quella di una violenza cieca e assurda.

Ora l’ex conduttore di Matrix ha raddoppiato, non contento di aver urtato le coscienze dei pappagalli di regime, con un latro libro intitolato Cuori contro dove la storia, in un certo senso, lascia il posto e lo spazio alla memorialistica vera e propria, al ricordo e al dolore sì, ma visto attraverso il cuore di chi, quelle tragedie, ha vissuto personalmente e non soltanto letto sui giornali o appreso dalle Tv. Ogni capitolo è una frustata in faccia all’ipocrisia, uno schiaffo ai buonisti di ogni regime persi nei loro tentativi formali di cercare un perdono e una intesa dove, purtroppo e spesso, sia l’uno, sia l’altra, non sono sempre possibili.

Questa volta Telese abbandona l’indagine storica e archivistica per concentrarsi sui sentimenti e il suo lavoro è una carrellata di lacrime amare versate da chi, a distanza di anni dai drammi patiti, ha provato, magari senza esserci riuscito, a elaborare un lutto che soltanto la propria morte potrà mai cancellare.

Così, pagina dopo pagina, si succedono i racconti, le confessioni, le scoperte, i tentativi di fare pace col passato e, in particolare, con chi o con ciò che quel passato maledetto hanno prodotto. Madri, figlie e figlie, sorelle, padri, c’è tutto l’universo familiare in questo libro che è una sorta di breviario all’italiana per comprendere la nostra storia recente e poterla digerire senza rischiare di restare soffocati.

Sì, perché a differenza di tanti altri volumi, questo parla direttamente al cuore oltreché alla pancia e alla testa del lettore o, diciamolo pure, di coloro che riusciranno a arrivare all’ultima riga. Luca Telese si è spaccato il fondoschiena per costruire Cuori neri e ha, poi, dovuto rimettersi in discussione per produrre il seguito, appunto Cuori contro, ma sia la prima volta sia in quest’ultima circostanza, ha cercato sempre di non dimenticarsi che tra le sue mani e sulla sua tastiera scivolavano non lettere di un alfabeto apparentemente distaccato e lontano chissà quando, chissà dove, bensì granelli di vita intrisi di una umanità delle più ricche e, al medesimo tempo, delle più difficili da trattare e maneggiare. Quella che ti esplode dentro all’improvviso e che ti fa più male del dolore fisico e che nessuno e niente potrà riuscire, fino al termine della vita, a rimuovere.

Un lavoro, quindi, certosino, da cesellatore di fino, da artista del cuore, da cardiochirurgo delle emozioni quello portato a termine da Luca Telese, dicono formatosi e cresciuto a sinistra mentre a noi che lo leggiamo da tempo, ci sembra alieno da etichette e considerazioni inutili. Anche questa volta l’autore fa centro e con il suo percorso a ritroso negli anni sul filo della sofferenza e dei ricordi, riesce a tracciare l’ennesima verità storica utile a chi non si accontenta delle versioni di comodo e delle deduzioni geniali degli imbecilli di passaggio. L’abbraccio tra la madre di Valerio Verbano da un lato e di Giampaolo Mattei, scampato miracolosamente alla strage di Primavalle nel 1973, sono, in fondo, la dimostrazione mostrata che gli anni di piombo sono stati una vergognosa rappresentazione messa in scena da chi pensava di aver compreso tutto e, in realtà, non aveva capito un cazzo. Né tra i protagonisti, ectoplasmi vaganti nel nichilismo assoluto giustificato e ingiustificabile dalle ragioni politiche e ideologiche, né tra coloro che avrebbero dovuto fermare la strage e che, invece, a quella strage hanno assistito spettatori asettici quando, non addirittura, complici e conniventi.

Ride, Telese, quando legge che l’ennesima inchiesta sulla strage di via Fani, datata 16 marzo 1978, in cui morirono Aldo Moro e la sua scorta, è finita sotto l’ennesima lente d’ingrandimento dell’ennesima commissione d’inchiesta. La quale, si dice, potrà avvalersi di chissà quale tecnica tecnologica per scoprire ciò che nessuno, in tutti questi anni, povero scemo, non è mai stato capace di appurare. E sorride, il Nostro, perché afferra come l’idiozia degli umani spesso fomentata dalla loro presunzione e ignoranza dei fenomeni generazionali, può arrivare a pensare che tutto possa essere schematizzato, sezionato, individuato con delle sofisticate apparecchiature quando, invece, sarebbe molto, ma molto più semplice e utile cercare di restituire il vissuto non solo e non solamente del prima, ma, anche e soprattutto, del dopo.

Certi passaggi sono, per uomini e intellettuali come Luca Telese, facili da introiettare perché la loro attenzione si dirige verso le persone, perché sono gli uomini con le loro vicende e le loro passioni, con la loro insicurezza e le loro paure, le loro debolezze e, perché no?, le loro porcate, a essere protagonisti di un’epoca, di una storia, di un libro. I libri di Luca Telese trasudano emozione perché sono frutto di vita vissuta e patita, non elucubrazioni mentali elaborate dai cervelli iperpressurizzati del Nuovo Pensiero Unico dominante che tutto e a tutto vorrebbe uniformare il passato e il presente financo il futuro.

Quando i carnefici parlano, le vittime, inevitabilmente e oggettivamente, non possono fare altro che restare in silenzio. Accade, così, che, spesso e paradossalmente, siano gli assassini a scrivere la storia mentre coloro che ne avrebbero più il diritto, si ritrovano a diventarne pertinenze spesso nemmeno essenziali. Questo perché, politicamente e ideologicamente, strumentalmente e, forse, anche per condizione umana, colui che resta e che può ancora avere una chance finisce per meritarsi più attenzione e commiserazione di chi, tanto e stando sotto un metro di terra, quella chance non potrà permettersela più.

Ma quando i figli delle vittime crescono, allora si assiste al desiderio di rivendicare un dolore subìto per colpa di quei carnefici che sembravano essersene dimenticati. E, allora, chi ha sofferto alza la testa, impugna la penna, grida al microfono tutta la propria rabbia condita dal diritto a rivendicare la propria voce nell’assise della memoria monopolizzata durante gli anni della sua infanzia e adolescenza. Le ferite degli anni di piombo sono ancora aperte, è il messaggio che traspare da questo libro e spesso non perché sono coloro che avrebbero il diritto a mantenerle tali, a volerlo, ma perché l’ignavia, l’ipocrisia, l’ignoranza, la strumentalizzazione e le dannate passioni dell’Uomo, la solita bestia di sempre, ne rendono impossibile la cicatrizzazione definitiva.

Questo è un libro che il sottoscritto, tra i tanti che ha prodotto, avrebbe voluto scrivere. “Mi fai arrossire” è stato il commento di Luca Telese al telefono di fronte a questa dichiarazione, ma è proprio così. Complimenti. 470 pagine intrise di amore per questo paese, per la sua gente, per le sue vittime, per tutti coloro che hanno pagato con la vita la loro fugace esistenza senza, il più delle volte, nemmeno sapere perché.

Aldo Grandi, lagazzettadilucca.it

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