Lettere dei lettori

5 Agosto 2008
La diffusione dei quotidiani

Caro Luca Telese,
sono un collega ormai in pensione; mi sento di darti del tu non tanto per questo motivo, quanto per consonanza con quanto scrivi e per il modo con cui intendi il mestiere di giornalista. Complimenti di cuore per come conduci "Prima Pagina", sbrigliato, ironico quel tanto che basta per aggiungere interesse, e anche veloce nelle risposte, ciò che non guasta.
 Stamane a "Prima Pagina" ti sei soffermato sulle edicole, che anch’io amo, e dove anch’io mi fermerei ore (come del resto nelle librerie). Dalle edicole alla diffusione della stampa il passo è breve. Anche dopo la cosiddetta liberalizzazione dei punti vendita dei giornali, la diffusione dei quotidiani è rimasta quello che è sempre stata, una croce senza delizia alcuna. Fra l’altro, mi assicura l’amico Michele Brambilla, il Corriere, che è il Corriere, non vende nemmeno la metà delle 700 mila copie dichiarate. Stesso discorso per Repubblica.
Quando ho cominciato la professione, nel 1974, l’Italia era agli ultimi posti della graduatoria nella diffusione dei quotidiani (poco più di 5 milioni di copie vendute, una copia ogni 10-11 abitanti). Dietro di noi in Europa c’erano Spagna, Portogallo e Grecia. Con l’ottimismo del neofita pensavo che non si sarebbe potuto che migliorare. E invece, decennio dopo decennio, siamo ancora a poco più di 5 milioni di copie vendute, una copia ogni 10-11 abitanti, lontanissimi dalla copia ogni 2-3 o 4 abitanti dei Paesi nordici, ma anche di Inghilterra, Germania, Francia. In Europa Spagna, Portogallo e Grecia ci hanno superato, e di dietro di noi, se proprio vogliamo consolarci (?) c’è soltanto l’Albania.
Sicché siamo andati peggiorando. E non solo da 1974. Sfogliandola Treccani, mi ha colpito Ho visto che nel 1939 in Italia si vendevano poco meno di 5 milioni di copie, e dunque la diffusione era – dati i 45 milioni di popolazione – superiore a quella di oggi. Eppure c’era una dittatura, che guidata com’era da un giornalista, aveva tarpato le ali alla libertà di stampa; c’era, ancora, un tasso di analfabetismo molto superiore a quello di oggi. Si dirà che allora non c’era la Tv. Ma negli altri Paesi la diffusione dei quotidiani è aumentata nel dopoguerra, e non poco. Negli Usa, il primo Paese in cui è entrata in funzione la Tv su larga scala (6 milioni di apparecchi nel 1943) la diffusione dei quotidiani è cresciuta addirittura con un ritmo maggiore di quando crescesse prima della Tv.
Ma il confronto con il 1939 è ancor più scoraggiante per i cosiddetti quotidiani politici indipendenti: nel 1930 c’erano due soli quotidiani sportivi, la "Gazzetta dello Sport" e il "Corriere dello Sport" che insieme vendevano meno di 300.000 copie. Oggi i quotidiani sportivi in Italia sono cinque (record intergalattico) e insieme vendono oltre un milione di copie. Dunque i quotidiani politici indipendenti hanno fatto un notevole passo indietro.
Secondo te perché? Da parte mia sono arrivato alla conclusione scoraggiante che i giornali non sono fatti per i lettori, non sono fatti per essere venduti, ma per servire in primo luogo gli interessi della proprietà (che può coincidere con l’editore, ma non è detto). Come fa il cittadino a fidarsi di giornali fatti così? Eppure, saremmo capaci di fare giornali per venderli: un esempio sono i quotidiani sportivi, che sono fatti per essere venduti, e che dànno ai lettori quello che desiderano avere. E hanno una diffusione più che buona, anche troppo (in realtà non sono quotidiani sportivi, ma di calcio – che più che sport è un gioco, e   un vizio nazionale – e più che di calcio sono di tifo applicato al calcio).
Ci terrei ad avere un tuo parere.
Rinnovo le mie congratulazioni per Prima Pagina, e ci aggiungo quelle per il programma che conduci in Tv.   Grazie per l’attenzione, cordiali saluti e buon lavoro,

Mario


Invia la tua lettera