Le interviste del lunedì

2 Novembre 2015
“Sono più comunista di mezzo Pd”
«Prooonto dicaaaa? Centralino di Palazzo Chiggggi… È il Dottor Lopapa di La Repubblica? Le passo la segreteria del presideente Del Debbio…». Per un attimo immaginatevelo: Paolo Del Debbio che abbandona il suo toscanissimo accento, mimando le asperità del romanesco di Palazzo, si finge segretaria di se stesso. Esilarante: avrei dovuto filmare. Carmelo è il giornalista che la settimana scorsa ha scritto un retroscena in cui – dice – il conduttore di Quinta Colonna avrebbe deciso di candidarsi alla presidenza del Consiglio. Ma io devo avvisarvi: come conduttore di Matrix sono in parziale conflitto di interessi. Il lunedì per me è il giorno felice in cui Paolo abbandona le latitudini milanesi e porta il suo buonumore su Roma per registrare la sua puntata del lunedì. Di prima mattina il centro Palatino si popola dei suoi redattori – da noi soprannominati “Quintisti” – a partire dalla più eclettica delle curatrici, Raffaella Regoli, collaboratrice inseparabile di Paolo, ma anche il suo contrario antropologico: lui morbido e gioviale, lei ufficiale napoleonica con leggendaria chioma leonina. Paolo e Raffa duellano sulla scaletta tra pranzo e primo pomeriggio, fin quando Del Debbio stronca le diatribe con una storica sentenza: «Bene! Me-ne-vo affà il pisolino…». Da un paio di mesi tutti i tecnici e i colleghi lo chiamano “Presidente”. Così questa intervista è (anche) la quintessenza di decine di conversazioni, motteggi tra i quintisti e i matrixiani, tra Paolo e chi scrive. Chiamo il direttore di Libero (lo conosce meglio di me, avendolo fatto esordire sulla carta stampata): «Ti interessa un ritrattone semiserio del tipo: “Il giovane Del Debbio”?». E lui: «Fantastico. Che ne esce?». Già, il cuore dell’ intervista è tutto qui: anche Paolo è convinto che la televisione sia una macchina che lavora sugli uomini inesorabilmente, l’ acceleratore di particelle che ha estratto dalla sua biografia una radice antica. Ora il “populismo” di cui Del Debbio si vanta diventa (persino per La Repubblica) un possibile prodotto di accattivante marketing elettorale, questa sua storia diventa due volte interessante. Per chiudere il ritrattone lo inseguo per due giorni (che fra quotidiano e settimanale vive nel piccolo schermo) durante le registrazioni di Dalla vostra parte a Milano due. Lì il suo alter ego goliardico-professionale diventa Mario Giordano: «OOOhhh-oh», canta il direttore del Tg4 mentre lo raggiunge in camerino dopo una puntata sui disabili. Del Debbio, mi guarda e sospira: «D’ accordo, siamo tutti pazzi, ma lui ha una marcia in più». Giordano entra in stanza semiserio con l’ immancabile penna in bocca: «Sia chiaro: io farò il portavoce».
Del Debbio scuote il capo: «Che ti dicevo?». Ecco Marcello Vinonuovo: «A me che incarico dai?». Il clima è questo.
Paolo, partiamo da questa storia di Palazzo Chigi, il titolo del giorno è?
«(Grande risata) Divertente, vero?».
Attento: sei un conduttore che è diventato una notizia politica.
«(ride) Ma no! D’ accordo: questa cosa gira, circola, si gonfia, assisto allo spettacolo con matte risate».
Fammi fare il giornalista: constato che non smentisci… «(occhio sgranato) Maddai: se smentisco ne parlano per dieci giorni e non ci crede nessuno. Così posso già godere dei benefict indiretti…». È vero che non sei insensibile all’ idea di essere il frontman del centrodestra?
«Mava! Me ne sto zitto, guardo tutto da fuori, e, come si dice da noi, “patta e pari”. Di che volevi parlare?».
Il giovane Del Debbio: come il giovane Marx, come il giovane Hegel. Sai che sono un cultore della tua biografia.
«L’ unico, eh eh».
Credo che il Del Debbio di Dalla vostra parte sia figlio di quello che a 12 anni faceva le consegne per la macelleria.
«Ahhh, la macellaia Marta… Un donnone: aveva anche un marito, Lorenzo, ma non contava una sega, decideva tutto lei».
Ti puntava il coltellaccio da disossazione, mentre proferiva il suo tormentone preferito.
«O Paolo! Queste carni me le devi consegnare AMMODINO!».
Una frase che ci porta in un mondo: Lucca, quartiere Sant’ Anna, anni sessanta…
«Nel 1970: non eravamo una famiglia ricca, usiamo un eufemismo. Si aveva bisogno di un po’ di quattrini, e facevo il piccino di bottega. Chi dimentica il coltellaccio della Marta?».
Hai fatto anche il lattaio o è leggenda?
«Certo! Si ammalò il lattaio Giorgio, e anche lì arrivò Paolo. Immaginati la scena: a cavalcioni della bicicletta, con due enormi ceste di paglia, bottiglie di vetro con la stagnola al posto del tappo. Se perdevo l’ equilibrio si rompeva tutto, catastrofe».
Eravate poveri?
«Detto così sembra il libro Cuore.
Ti dirò due cose: uno, non m’ è mai mancato nulla di importante. Due: il bello di vivere in una famiglia povera è che si prende tutto a ridere».
Cominciamo dai personaggi: tua madre Lilia… «La figlia di una sigaraia e di un operaio».
Quindi il mezzo toscano te lo porti da lì… «Lavorava alla manifattura dei tabacchi, una istituzione».
E il papà Velio.
«Lavorava alla Ferrero. Figlio di un contadino-artigiano, figura di transito tra classi. Tutti umilissimi ed onestissimi, il mio orgoglio».
Tuo padre si fa due anni di carcere militare a Luchenwald.
«Sì, un ameno campo vicino a Buchenwald».
E questa prigionia ha una conseguenza che vi segna per la vita.
«Mia madre dovette imbastire una pratica per ottenere il riconoscimento di quei due anni ai fini previdenziali».
Ma non andò bene.
«A casa preparammo lei, e il faldone delle carte, ci andò ricordando cosa erano stati quei due anni, come se partisse per un’ altra guerra: tornò sconfitta».
Cosa accadde?
«Le risposero che non aveva diritto.
Lei fu colpita e umiliata dall’ arroganza di quei due funzionari: per me è un paradigma».
Di cosa?
«Le dissero: “Lei non può ottenere quel riconoscimento perché non riesce a spiegarsi in italiano”. Fu penoso per lei raccontare: stette con le orecchie basse e noi con lei».
Tu, tuo fratello, tua sorella.
«Io ero il più furibondo. Avevo visto in quella frase, una cattiveria gratuita: e quel giorno ho capito che serve la cultura per difendere i più deboli. Lì è nato un mio sentimento di ribellione all’ ingiustizia, che qualcuno definisce populismo, e che mi porto dietro ancora oggi».
Quindi l’ intellettuale Del Debbio, quando fa le sue intemerate non recita… «Non c’ è nulla di posticcio, mai. La tv è come un microscopio elettronico che ti mette a nudo: se sei falso si vede».
Vero che non la volevi fare?
«Verissimo. Nel 2005, dopo una conferenza all’ Hilton Berlusconi mi disse: “Provaci, è il tuo habitat, te lo dico io”».
E tu?
«Risposi: “Non guardo la tv perché non mi piace”. È vero ancora oggi, ah ah ah».
Invece inizi il tuo programma di interviste “ideologiche”, e finisci imitato da Gene Gnocchi… «Geniale. Si imparruccava chiamandomi Eugenio Del Dubbio. Mi faceva fare domande del tipo: “Senta, gli ascensori salgono oppure Prodi è un cretino? Ah ah Ah” (morso al toscano)».
La tv ti ha migliorato?
«È uno specchio riflettente. Ma anche una pentola dove tutto bolle. Devo essere sincero: la tv mi ha dato una sicurezza che non avevo. Mi ha fatto conoscere me stesso».
Però se devi fare una lezione universitaria non parli in “Quintese”… «Certo. Come chi fa un colloquio di lavoro. Ma quando si accende la luce rossa sei sempre senza paracadute.
Mi accorgo che la tv mi ha tirato fuori questo».
Cosa?
«Quinta Colonna è il luogo in cui le due lingue della mia vita, quella del bar e quella dell’ Università si sono incontrate e fuse».
I bar di Lucca li frequenti ancora con tuo fratello elettricista.
«Con il meccanico Mario, con il fascina, con Roberto l’ elettricista… Sono i miei amici lucchesi».
A Lucca c’ è un ristorante che si vanta di averti avuto tra i suoi tavoli, come cameriere. È vero?
«Certo: il Prato Verde! Avevo 18 anni, una scuola di vita. Studiavo e tiravo su le lirette per campare servendo».
Cosa si impara, da cameriere?
«Tutto. Ma due regole per la vita, scrivi! Uno: cotta o cruda il cliente ha sempre ragione».
Due?
«Le diecimila lire guadagnate che ti frusciano tra le mani dopo una giornata in piedi hanno un peso diverso».
Il giovane Del Debbio in 500 bianca.
«In Vespa, di notte, tra Lucca e la Versilia. Quindi l’ amata 500: purtroppo me la ciularono».
Rubata?
«La recuperai piena di sabbia e preservativi e dissi: ho contribuito alla vita».
Eterogenesi dei fini.
«I primi soldi da intellettuale, si fa per dire, li guadagno a Milano, scrivendo articoli per Critica sociale, introdotto da Luigi Bobba, oggi senatore del Pd, e Gianni Mantovani, oggi amministratore della fiera di Verona».
Devi raccontare anche un’ altra pagina da libro Cuore di provinciale che va in città: partenza con valigia.
«Ommamma. Quando te l’ avevo raccontata questa?».
Non importa. Ti studio da anni… «(Ride) Devo correre alla Cattolica, sperando di prendere la borsa di studio. Partenza dall’ oggi al domani e mio padre, che mi vuole stare vicino mi fa: “Prendi la mia valigia”».
Erano tempi in cui una valigia era un patrimonio, un simbolo… «Già. Quella di mio padre era molto usurata. Però me la offriva, e non volevo offenderlo: “Sei sicuro che terrà?”».
E tuo padre?
«Oh Paolo! Ci sono andato fin su a La Spezia!».
Il giro del mondo.
«(Ride) Beh, la povera valigia, pressata all’ inverosimile, si squarciò mentre salivo: calzini e mutande sulla banchina. Vergogna».
E tu?
«Io cosa? Con la maniglia in mano, come un bischero».
“Emigrare” a Milano è stata dura?
«No, bello: è una città accogliente.
Più di Roma. Non hai bisogno di raccomandazioni».
Perché non sei diventato democristiano nella bianca Lucca?
«(sigarone) Perché li conoscevo.
Mediazione continua senza mai un lampo di genio».
Il primo libro politico che ti ha formato?
«Lezioni di politica sociale di Einaudi. Un classico Liberale. E poi, imprescindibile, Stato e rivoluzione di Bakunin».
Il caposaldo dell’ anarchismo.
«Un po’ anarchico sono. Anche un po’ comunista».
Non esagerare!
«Stai scherzando? Devo tutto al mio maestro Enrico Maccioni, che m’ ha insegnato a leggere e scrivere.
Era presidente dell’ Associazione Italia-Urss».
Ti ha indottrinato?
«Mai. Anzi: ho imparato come si può stare da una parte e insegnare cose valide per tutti. A 16 anni, per il suo carisma, andai io – di mia iniziativa – a seguire un suo ponderoso seminario dal titolo: “È possibile la Nep in Italia?”».
Caspita. La nuova politica economica di Lenin e Bucharin?
«Già. Per questo possi dirti senza tema di smentita: sono più comunista io di mezzo Pd… A me Bertinotti mi fa una sega!». Un anarco-bolscevico liberale a Palazzo Chigi… «(Sgrana gli occhi, sillaba la battuta, butta il toscano e se ne va) “Domine, non sum dignus!”».
Luca Telese
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