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31 Dicembre 2012
Pubblico-Italia

di LUCA TELESE

Oggi parliamo dell’Italia e anche di noi. Per una volta scriverò tanto, ma la materia, come potete intuire, è complessa. Partiamo da Pubblico. Non ce l’abbiamo fatta, abbiamo perso. E di più: io, in prima persona, come direttore, ho perso la sfida che avevamo insieme tentato promuovendo e lanciando questo quotidiano. Invocare attenuanti qui non ha senso. È un fatto, è la nostra notizia di oggi, anche se amara.

Proverò in questo articolo a fare una analisi delle tante cause che possono produrre un risultato, ma la responsabilità ultima è mia. In questo paese in cui nessuno perde mai, e tutti si dichiarano vinci- tori sempre e comunque, il senso della storia è semplice: siamo stati sconfitti. Volevamo fare un nuovo giornale libero, pluralista, che potesse essere finanziato con le sue sole vendite: non ci siamo riusciti. Per quante volte io possa riavvolgere la bobina dei ricordi degli ultimi tre mesi, l’almanacco delle cose belle e brutte che abbiamo fatto, non posso prescindere da queste due considerazioni di partenza.

Tre mesi sono cento giorni che volano, quando fai un quotidiano, come un treno in corsa. Ma sono anche il periodo sufficiente per un esame drastico: i numeri dei nostri conti ci dicono che abbiamo bruciato le nostre riserve economiche di partenza. Senza un nuovo finanziatore non possiamo andare avanti. Ho passato l’estate scorsa, in cinquantadue piazze in giro per l’Italia, con il sorriso di Francesca Fornario e i colleghi di questa redazione, a raccontare perché volevamo fare un nuovo quotidiano e a quali condizioni provavamo a farlo, senza avere editori o padroni alle spalle: era una impresa rischiosa come le altre.

Anzi, anche di più. Perché la merce che abbiamo provato a produrre, l’informazione, è la più rara, la più particolare e delicata che si possa mettere sul mercato. È un bene immateriale, ed è allo stesso tempo un bene comune: eppure si vende e si compra. Abbiamo provato a parlare a quell’Italia che avevamo incontrato lungo quel viaggio nella crisi e a raccontarla. Ci siamo appassionati a quella che avevamo definito «l’Italia del coraggio» cercando di inserirla nell’agenda dell’informazione. In alcuni casi ci siamo riusciti, in altri no. Ma ogni volta che accadeva – come nel caso degli «scongiunti» – era per noi una soddisfazione enorme.

Questo giornale anche domani potrebbe riaprire, riaccendendo i suoi motori, se si presentasse un finanziatore, così come si può manifestare, in una favola a lieto fine, un principe azzurro. Sarebbe bellissimo, e anche con un filo di speranza firmerò questo mio pezzo con la mia mail. Ma oggi Pubbli- co deve sospendere le sue pubblicazioni per via di una legge implacabile a cui ci siamo sottomessi impoverire il prodotto: eppure l’ultimo aggiornamento ci dice che avevano bisogno di 8.200 lettori. In questi giorni ne contiamo in media 4.200, di fatto la metà del necessario a sopravvivere.

Sappiamo che per le vendite dei quotidiani questo è il periodo peggiore dell’anno. Sappiamo che per tutto il paese questo è stato l’inverno della grande crisi. Sappiamo che il momento dell’editoria è drammatico, in tutto il mondo, che anche grandi corazzate editoriali perdono copie. Questi lettori sono per noi un grande patrimonio: sono un piccolo-grande popolo che ci ha seguito in questi mesi con affetto, persone che ci hanno voluto bene e sostenuto fino all’ultimo, persino comprando due copie, facendosi sentire e scrivendoci con molto affetto. Ma i conti sono presto fatti: mille copie a 1.50 euro producono circa 400mila euro di ricavi per il giornale. Quattromila copie di sbilancio, per i nostri conti, vogliono dire più di un milione e mezzo di euro di perdita in un anno, per sostenere l’impresa. Per noi è troppo. Le persone che hanno finanziato la nascita di questo giornale, nel ruolo di soci promotori (me compreso) questi soldi non li hanno. In questo anno di crisi, come per tutti, le vie di accesso al credito bancario sono rareffate per imprese che non possiedono beni da ipotecare. Noi non ne abbiamo. Il nostro principale capitale sono le nostre penne.

Io, in questo momento, sono addolorato come se una delle persone che ho più care stesse male: vivevo questo giornale come se fosse figlio di una lunga gavetta. Ho chiesto di partecipare alla sua fondazione colleghi incontrati nel corso di una vita. Abbiamo assunto cinque praticanti, che si sono rive- lati cinque talenti. Ci hanno regalato la loro esperienza quattro firme come Ritanna Armeni, Darwin Pastorin, Peppino Caldarola e Marco Revelli: senza chiedere nulla e dandoci tutto.

Questa redazione era il mondo che volevo provare a costruire con le regole del merito e del valore professionale, con il metro della qualità umana. Anche questo, adesso, può sembrare un peccato di vanità. Ma credo che nessuno che abbia frequentato le stanze di Pubblico lo possa discutere. Ci ho provato: ho messo insieme una bellissima comunità di persone che spero abbiate imparato a conoscere: ma non è bastato. Ho fatto degli errori, che adesso mi appaiono chiari, perché sempre il senno del poi illumina le cose, ma non ho rimpianti. Capisco benissimo la sofferenza altrettanto forte di molti amici che con me hanno costruito questo progetto met- tendoci la faccia, le idee e il loro cuore. Capisco anche la rabbia di altri, quando scrivono – come hanno fatto dei redattori, su queste pagine, ieri – un giornale che vende quattromila copie non dovrebbe chiudere. Noi, però, non eravamo un quotidiano come gli altri. La libertà assoluta di cui abbiamo goduto aveva come contropartita il rischio che ab- biamo dichiarato, e scelto, di correre: «Se a dicembre saremo vicini al nostro obiettivo – avevo detto presentando questo giornale – saremo in edicola. Se non ce la faremo rischiamo di andare a casa». Non lo volevo: ma è accaduto.

Per chi come me è stato in questo quotidiano sia giornalista che socio promotore questo rischio è stato doppio: ho perso il mio posto di lavoro e il mio capitale. Ho investito e perso centomila euro perché credevo ad un progetto. Nei primi numeri abbiamo raccontato, con Silvia Giralucci, alcune storie esemplari del nord est, come quelle degli imprenditori che, quando non riescono a far quadrare i conti delle loro imprese, si sentono sopraffatti da un sentimento di sconforto, a tratti persino di vergogna.

Questo sentimento, difficile da decrittare, per chi da lavoratore dipendente non lo mai ha vissuto, nasce da quel pensiero amarissimo che solo chi rischia conosce: hai fatto tutto per nulla e quando perdi niente ti rimane in mano. L’ironia della sorte è che dopo averne scritto per capirlo, io questo sentimento ora lo sto vivendo sulla mia pelle. Avevamo detto che avremmo provato a fare un quotidiano «dalla parte degli ultimi e dei primi» perché c’erano ragioni che andavano comprese, anche al di là delle vecchie gabbie interpretative ideologiche della politica italiana. Ecco, siamo andati oltre: anche la cultura della sinistra nel tempo della crisi deve prendere atto che ci sono imprese in cui, purtroppo, nulla può garantire rendite certe.

Così, da un certo momento in poi il nostro racconto della crisi italiana si è intrecciato su queste pagine con quello della crisi che stavamo vivendo noi. Vedo nei meandri di twitter e del commentificio del web che alcuni dicono: ma eravate così presuntuosi da entrare nel mercato in un momento così duro? Sì, lo siamo stati: se nei tempi di crisi nessuno provasse a fare la sua strada malgrado i tempi duri, da nessuna crisi sarebbe possibile uscire. Vedo che altri chiedono: ma come può una impresa chiudere in soli tre mesi? Se non ha protettori alle spalle che appianino il disavanzo e accumula perdite erodendo il suo capitale, non c’è altro modo per evitare il fallimento.

Anche questo paradosso è una risposta a quanti tre mesi fa ci dicevano: non crediamo a quello che raccontate, siamo sicuri che alle vostre spalle ci sia un padrone occulto o un partito. Bene, almeno questo lo hanno potuto verificare: non avevamo dietro di noi, né il primo e né il secondo. Altri ancora addirittura ci ricordano una cosa che oggi ci risuona all’orecchio in modo beffardo: ci sono molti altri giornali che vendono come o meno di voi, eppure restano aperti. È vero. Ma noi avevamo detto che avremmo fatto un quotidiano pubblico in tutto tranne che nei finanziamenti.

Se avessimo due milioni e mezzo di euro di contributi – cifre che per la stampa di partito sono congrue e non infrequenti – con la nostra tiratura saremmo in attivo e distribuiremmo dividendi. Ma noi quei fondi avevamo dichiarato di non volerli usare, siamo rimasti fedeli alle promesse di ingaggio. Il mercato italiano, come è noto, non ha le stesse regole per tutti. E chi rischia senza tutele, per esempio, sa che le fatture della carta – nel nostro caso circa 30mila euro al mese – si liquidano tutte in contanti, sennò non stampi. Quando si acquista un giornale senza finanziamenti bisognerebbe sapere che costa di più. Perché se si è disposti a pagare di più per un frutto biologico non si dovrebbe farlo per un giornale senza aiuti?

Ma devo rispondere ad un’altra domanda. Che prodotto ho provato ad offrire, io, come direttore? Quello – spero – che avevo dichiarato di voler fare. Un quotidiano di opinione forte, progressista, che non fosse vincolato ad una appartenenza ideologica o di partito. Non che questo non si possa fare con molta dignità, sia chiaro. Ma c’erano già altri che lo facevano, e meglio di noi. Ho selezionato una squadra giovane, piena di talenti: 19 persone più i collaboratori, tante teste brillanti con idee diverse. Per qualcuno sarà stato un handicap, spero che voi abbiate apprezzato questa voluta distonia.

Ho teorizzato che potesse esistere un giornale che provasse ad unire una comunità intorno ai valori della sinistra, ma al di sopra dei suoi steccati. C’erano in questa redazione tutte le teste e tutte le appartenenze. Ho provato a mettere in patria uno spazio che in redazione avevamo definito il Minority report. Dalle primarie in poi in questo giornale apparivano anche idee diverse da quelle del direttore. Se avessimo vinto sarebbe stata di certo una ricchezza. Oggi, anche tra noi, qualcuno lo considera un eclettismo imperdonabile. Ho pensato un giornale graficamente diverso dagli altri.

Abbiamo chiesto ad un grande studio grafico, quello di Alberto Valeri, di immaginare un quotidiano in cui le immagini parlassero come gli articoli. Abbiamo voluto rendere un omaggio esplicito a un grande quotidiano francese, Liberation. Abbiamo fatto tante copertine che – diversamente da molti altri giornali italiani – erano dominate anche da una sola immagine. Abbiamo assunto – quasi un ardire per una piccola testata – un art director come Manolo Fucecchi: del suo genio visionario avete avuto prova ogni giorno su queste pagine. Racconto qualcosa su di lui perché è stato un punto di sintesi.

C’erano giorni in cui i redattori che scrivevano gli articoli, o le interviste, facevano a gara per prenotare una sua illustrazione. Manolo non diceva mai di no a nessuno, e mi dovevo arrabbiare. Lui disegnava e disegnava con il suo sorriso serafico, ma al momento della chiusura qualcuno restava privo di quella che chiamavamo la «fuceccata». E ci restava male. Un giorno accade questo: tutti sono nella stanzetta di Manolo, dietro di lui, per la consueta questua grafica. Lui ha le cuffie tre in testa, sembra che stia ascoltando musica celestia- le, disegna e sorride beato. Per lunghi minuti nessuno lo vuole interrompere.

Tommaso Labate mi fa: «Starà ascoltando i Pink Floyd». Solleviamo le cuffiette e restiamo allibiti. Manolo che è anche un cronista politico attento ai dettagli fa: «E’ il discorso di Casini all’assemblea dell’Udc, perché quelle facce?». Scoppiamo tutti a ridere. Uno dei nostri grafici, Emiliano Carli, è un genio obliquo: disegnava vignette meravigliose, ma non me le faceva vedere mai. Per poterle pubblicare dovevo andarle a sbirciare nella sua pagina di Facebook. Gli chiedevo: «Emiliano perché?». E lui: «Ahò, sò fatto così: nun me metto in mostra».

Stella Prudente che ha cucinato delle pagine di esteri impeccabili un giorno chiedeva: «Ma a chi lo faccio fare il corsivo su Gaza?». Mi raccontò di quando aveva scoperto da inviata che nella striscia i bambini non dormivano mai: il corsivo alla fine lo ha scritto lei, in prima, ed è stato uno dei più belli. Avevamo in squadra persino un cantautore, nonché socio, come Luca Bussoletti: è stato uno dei più rigorosi e produttivi, alla faccia dei cliché sugli artisti. Con Marco Berlinguer, che per me è un fratello, abbiamo litigato urlando per finire in tempo una intervista a Stefano Rodotà a quattro mani. Il giorno dopo mi ha detto come se nulla fosse: «E’ venuta bene, però». Un’altra sera, per un litigio su un posto al tavolone tra due redattori, iniziato alle dieci del mattino, abbiamo fatto così tardi che non siamo arrivati in Calabria.

Negli indimenticabili giorni in cui abbiamo chiuso il giornale felici, tutti convinti di fare un grande prodotto, la nostra sede di Lungotevere dei Mellini era un posto da cui nessuno se ne voleva andare. Labate ha un carattere di merda, voglio dirlo: ma è un cane da tartufo, uno dei più grandi cronisti politici della sua generazione. E’ simpatico e spaccone come un personaggio archilocheo, quando prende d’aceto mi dice: «Lù, attento, io sono calabrese!». Gabriella Greison non riferiva delle sue interviste: le reinterpretava come se fosse in una compagnia di melodramma, e una volta «recitando» l’imprenditore Cucinelli si è commossa.

Paolo Valentini ha un respiro americano come le sue letture: per una equazione misteriosa le facce limpide producono scritture eleganti e cristalline. Francesca Schianchi è un carisma misterioso e dolce: una ragazza che tutti in redazione amano. Andavamo a mangiare su un barcone sul Tevere, dagli amici del circolo dei nuotatori (il più proletario) in un luogo dove scendendo gli argini i rumori della Capitale si quietavano. C’era tra di noi questo grande fuoco di passione che i giornali riescono ad accendere, nei loro momenti fondativi: il piacere di partecipare allo spettacolo della vita – come direbbe Walt Whitman – e di poter contribuire con un verso. Funzionava la macchina delle tante diversità, ed era bello pagare i prezzi che questo comportava.

Ricordo una domenica pomeriggio, una discussione quasi drammatica, tra di noi, nella sparuta pattuglia di chi era di turno, intorno ad una copertina sul diritto delle donne alla procreazione. E alla diagnosi pre-impianto gratuita negata dalla legge 40. Uno dei nostri redattori, Francesco Curridori chiese il suo Minority report per parlare della propria storia. Per dire a Mariagrazia Gerina e a Stefania Podda (che avevano firmato quella copertina) che lui quando pensava alle diagnosi pre-impianto, vista la sua storia di invalidità e i suoi malanni, temeva di diventare un «non nato». Non ero d’accordo con lui su quel presunto rischio eugenetico: ma il giorno dopo ho impaginato quell’articolo biografico trattenendo le lacrime. Perché le verità sono sempre cosí quando le racconti tutte, attraversano le nostre vite senza risparmiarci. E anche perché il buonismo non esiste mai.

Stefania, cardine dell’ufficio centrale al fianco di Fabio (Luppino), è una di quelle giornaliste che preferisce far scrivere gli altri piuttosto che scrivere lei. E per fortuna che esistono questi temperamenti, perché fra di noi ci sono persone che se potessero scriverebbero un giornale intero da soli. Una mattina, leggendo la copia del giorno, si scoprì che Boris Sollazzo era riuscito a pubblicare quattro articoli diversi per altrettanti servizi. La sua risposta era disarmante: «Ma erano tutti belli, no?». Roberto Brunelli, capo della cultura, avrebbe scritto ogni numero dei Beatles e di Springsteen, perché ognuno di noi ha i suoi demoni, lui è un cultore, e io per questo lo ho amato. È un giornale pieno di difetti e di passioni. Ma non si può fare un giornale senza un esperto dei Beatles.

In questi cento numeri sono in qualche modo andate inventariate anche le nostre vite, anche il campione umano che rappresentavamo, tutte le biodiversità che incarnavamo. Il giorno del voto sulle primarie avevo ipotizzato che tutti i redattori raccontassero che cosa votavano: «Troppo narcisistico», mi avevano risposto. Così non lo abbiamo fatto. Ma sarebbe stata una bella mappatura delle diverse anime che vivevano in questo giornale. Il sabato arrivavano in redazione «quelli di Orwell», lo straordinario supplemento culturale che ha accompagnato il giorno in cui vendevamo di più. La domenica mattina usciva «Pupù», e il pomeriggio di questo giorno festivo discutevamo le copertina di «Yanez», con Roberto Corradi, che tutti in questa redazione considerano un portento, visto che chiudeva otto pagine tutte da solo. Nella stanza dei grafici si erano creati il loro spazio anche gli sportivi di «Socrates», guidati dalle lenti corrucciate e pensose di Giancarlo Padovan, uno che ha sviluppato una pericolosa dipendenza dal calcio e da Sky. Lo lasciavamo che guardava partite del campionato scozzese a notte fonda, e lui la sera spegneva le luci e i computer di tutti: che bella coppia, lui e Matteo Patrono, il serafico e l’adrenalinico. In mezzo, come un adepto, silenzioso, Federico Paniccia: il pivello che nei film americani diventa immancabilmente eroe. Ricordo la bellissima discussione su Socrates, per omaggiare insieme un grande campione e la «filosofia dello sport».

Cosa abbiamo raccontato di importante in questo viaggio? Un passaggio importantissimo della storia italiana, un punto di svolta. Il ventennio breve del berlusconismo e la stagione effimera dei tecnici che si sono chiuse insieme. Adesso si arriva ad una partita finale in cui la sinistra combatterà contro due destre e contro un polo populista che si è organizzato intorno a Beppe Grillo. Conterà poco, ma alcune cose importanti che sono accadute in questi mesi, questo giornale le aveva capite prima. Ad esempio che la logica del carisma dentro il movimento Cinquestelle avrebbe prodotto l’espulsione dei ragazzi entusiasti che lo avevano fondato. Io – e qui parlo di me – ho iniziato questo viaggio a Bagnacavallo, in un appassionante dibattito in cui un militate del Pd contestava la mia dichiarazione di intenti al grido di: «Vorrete mica criticare Bersani?». Ebbene, su questo giornale, poi, ho criticato Bersani, e ho anche detto che lo avrei votato al ballottaggio, dopo aver votato Vendola al primo turno. Non credo che sia una contraddizione: credo che sia un modo laico di guidare le cose.

Ho iniziato questo articolo dicendo che ho perso. Ho perso perché ho deciso io il vestito che volevamo confezionare, le risorse che credevo necessarie, l’obiettivo di un giornale ambizioso, di 24 pagine. Sognavo un quotidiano «complementare», che arricchisse chi lo leggeva dandogli elementi che nel turbine del web e altrove non trovava. Adesso sembra che lo abbiamo fatto male: sia troppo che troppo poco diverso. Eppure ho chiamato io a lavorarci le persone di questa redazione: non ho costretto nessuno, né gli ho nasco- sto i rischi, ma porto questa responsabilità. In qua- lunque modo si giudichi, Pubblico è stato un quotidiano diverso. Le sconfitte non passano indifferenti, le sconfitte ti illuminano di una luce fredda che mette i brividi. Mi resta in testa un verso di Pietro Ingrao su cui da vent’anni mi lambicco: «L’indicibile dei vinti / il dubbio dei vincitori». Oggi parla anche di me.

luca@lucatelese.it

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172 commenti »

  1. adesso Renzi e Dalema faranno sciacallaggio dell’ex Pd?

  2. A Clesippo Geganio

    Paragone non pertinente, visto che noi ci arroghiamo storicamente il vanto di essere unici al mondo… Semmai, la distinzione dovrebbe essere fatta fra di noi, ovvero, tra tutte le persone oneste e quelle disoneste, eleggendo soltanto quelle meritevoli, o almeno, fino a quando lo saranno.

  3. e no! Caro Tenna Piero, per Berlusconi (e non solo) sono spariti con Leggi ad personam, tra ricusazioni, cavilli legali e prescrizioni i reati ascrittogli sono svaniti nel nulla, e quel poveraccio di Ingroia che cercava ragione delle sue indagini “trattative Stato mafia” con le intercettazioni telefoniche è stato silurato dalla magistratura e spedito al “confino” in Valle d’Aosta.
    Fino a quando non ci sarà la certezza della pena in Italia non cambierà mai nulla, cioè fino a quando delinquere conviene per pochi “eletti” noi scivoleremo sempre più verso una sanguinosa guerra civile, a meno che Grillo/M5s non riescano a defenestrare quei mercenari travestiti da statisti, tanto a Sinistra quanto a Destra passando per il Centro.

  4. quei ciuchi del PD avevano la possibilità di far sparire per sempre berlusconi votando Rodotà invece per non dare soddisfazione al M5S si sono evirati per far dispetto alla moglie!

  5. PD sta per Partito D’Alema il quale metterà a capo Matteuccio Renzuccio mister sorriso so tutto io ma di politica non so un emerita cippa di lippa.

  6. veramente PD sta per Poveri Dementi, ovviamente riferito ai dirigenti.

  7. PD un suicidio assistito.

  8. un Partito Derelitti, mai più voterò sta gentaglia.

  9. x Clesippo Geganio.

    Lungi da me difendere Berlusconi, ma non parteggio nemmeno per quei magistrati che su di lui tentano di emergere a… ” Torquemada della situazione…”. Dicevo solo che mi infastidisce vedere questa azione persecutoria con mire esclusivamente politiche, e non solo giudiziarie, come sarebbe logico. Soltanto un tribunale non politicizzato o sospinto dai media, e che osservi esclusivamente i crismi dettati dai codici penali, potrebbe risolvere con serenità questa farsa giuridica che si trascina nel tempo. Purtroppo, certi giudici, aspirano a diventare il castigatore storico del Cavaliere, appuntarsi sul petto l’onorificenza conquistata impavidamente sul campo della ingiustizia politica, oscena e meschina…! La cosa che più m’infastidisce però, è vedere quotidianamente i lanciatori di pietre che lo lapiderebbero soltanto per una questione di antipatia o invidia; poiché, diciamocela tutta, con sincerità: ” Le possibilità sessuali permesse dal suo patrimonio…, stimolano un tantino d’invidia, vero? “. A me si… e…chissà cosa farei di peggio, fossi al suo posto…!

  10. a Tenna Piero,
    fai un analisi della realtà che non condivido affatto, riassumo così:

    1- se esistono Giudici in cerca di gloria è colpa di berlusconi, ricco e potente uomo che scende in politica per badare ai suoi esclusivi interessi innesca ragionevolmente forti contrapposizioni tra poteri istituzionali, se poi prolungati per 20 anni si acuiscono giustamente in personalismi esasperanti. Esempio di lungimiranza fu G. Agnelli mai direttamente compromesso con la politica pur avendola usata pro domo sua.

    2- invidia antipatia? Non credo! Non è necessario essere miliardari per procurarsi giovani donne disponibili al divertimento.

    3- la sfacciataggine/arroganza unita ad una superficialità nell’utilizzare sedi istituzionali per fare festini invitando persone spesso sconosciute e portate da altri ha posto in serio pericolo la sicurezza dello Stato e l’establishment governativo, in certi casi anche europeo ed internazionale.

    4- il comportamento di un uomo investito della 2° massima carica istituzionale di uno Stato quindi della responsabilità di guidare un popolo una nazione dev’essere irreprensibile almeno in parvenza, come fanno altri leader stranieri, in questo caso la forma equivale alla sostanza.

    5- è acclarato che berlusconi abbia piegato le istituzione dello Stato ai suoi interessi, dalla Cirielli al processo breve al digitale terrestre per bypassare la normativa ecc… la lista è lunga di forzature dovute alla anomala concentrazione dei tre maggiori poteri di un sistema liberale e capitalistico, il potere mediatico, economico e politico-governativo riuniti nelle sue disponibilità, cosa che non accade in nessun altra realtà politica occidentale liberal-democratica.

    6- il “caro” berlusconi passerà alla storia non come politico statista ma come cinico imprenditore affarista.

    7- senza offendere nessuno, berlusconi fa presa su molti italiani ignoranti perchè incarna il mito dell’uomo ricco e potente molto più di quel mussolini dittatore squattrinato, mentre il duce devastò fisicamente il Paese il berlusconismo ha lacerato definitivamente il tessuto sociale e culturale della nazione Italia, altrochè crisi economica è in atto una depressione/regressione culturale che la II° guerra mondiale a confronto appare un incidente di percorso.

    8- ma poi I. Montanelli 20 anni fa lo descrisse perfettamente, leggere le sue critiche per credere e vedere cosa siamo diventati oggi.

  11. A Clesippo Geganio.

    Wow ! Una analisi profonda, la tua, che lascia intendere un singolare astio personale, di cui, non chiarisci le origini… Scomodi addirittura un personaggio del passato, morto e sepolto, oggi sconosciuto ai più, per avvalorare la tua acrimonia verso un soggetto attuale, vivo e vegeto, anche se una certa componente di opportunisti scalatori sociali e politici, vorrebbe scavare una fossa ben più profonda per seppellircelo, nonostante quella miriade di elettori –insulsi ed ignoranti– che si lasciano irretire dal mito ricco e potente. Riporti qui una miriade di accuse che, a parer mio, hai estratto pari pari dal gossip mediatico, per descriverlo in modo certo, inequivocabile, non fosse che è evidente il tuo innato odio — dovuto all’invidia o cos’altro…?– verso una persona che tu hai pesato secondo il tuo personale metodo, secondo le tue esigenze morali e culturali, quelle che non consenti ai tuoi avversari di pensiero, la qual cosa, ti mette sullo stesso piano culturale di coloro che tu ritieni inabili di cervice. Montanelli, precedentemente, amava e stimava Berlusconi. Poi, ha cambiato idea. Noi non conosciamo le sue ragioni ma, forse tu, che sei così attento, puoi erudirci in proposito: chissà, magari eri presente, quando è avvenuta la disputa fra di loro… In fine, ti consiglio d’avere un tantino più di rispetto verso coloro che non la pensano come te, altrimenti, corri il rischio d’imboccare lo stesso viottolo impervio percorso da Bersani ed i suoi, con il traguardo fissato al di là del fatidico burrone. Distinti saluti.

  12. A Tenna Piero,
    ho apportato alla discussione argomenti e fatti in SINTESI per criticare e giudicare politicamente S.B. dovresti controbattere con altrettanti argomenti e non accusarmi di giustizialismo o presunta superiorità morale.
    Con altrettanta SINTESI, se nel centrodestra oggi PDL non ci fosse S.B. non saremmo arrivati alla canna del gas, il M5S non sarebbe mai nato o sarebbe al 5%, il PD non sarebbe morto, Bersani e PDL avrebbero sicuramente trovato accordi per un “governissimo”, invece lo sfacelo è avvenuto a causa dell’anomalia S.B., con lui e per merito suo è arrivata a governare nei due rami del parlamento la Lega Nord secessionista fautrice del porcellum e non solo, ha fagocitato lo storico centrodestra UDC ed AN eliminandolo dalle scene politiche, ha devastato gli assetti istituzionali prima e dopo le elezioni con la “campagna acquisti”, per causa sua abbiamo avuto il CURATORE FALLIMENTARE M.Monti che al momento opportuno ha sfiduciato e scaricato per convenienza personale non del Paese Italia, insomma la miriade di furbate per rimanere saldo al potere e salvarsi con le sue aziende è lunghissima, ma non solo, costringere il Parlamento a legiferare per stabilire che Ruby è la nipote di Mubarak, accogliere il terrorista Gheddafi in Europa con gli onori di un Re di altri tempi ha reso l’Italia meno credibile agli occhi del sistema politico-economico internazionale del quale noi siamo parte integrante perchè soci in affari, quel baciamano è costato all’Italia la leadership economica con la Libia, GB e FR colsero l’occasione di entrare in Libia con la forza dove nemmeno gli USA riuscirono.

    Ecco perchè sostengo che quei milioni di italiani giustamente nazionalisti che esultano ed esaltano Berlusconi sono ignoranti, perchè il loro caro Silvio ha fatto per l’Italia l’esatto contrario di un vero statista.

    P.s. non provo nessuna invidia per B. ma pena e tenerezza perchè paga lo lo scotto di chi è ricco e potente, trovarsi intorno persone falsamente innamorate e finti amici, solitudine che surroga con i soldi.

  13. errata corrige: solitudine = mancanza di vero amore che surroga con i soldi.

  14. A Clesippo Geganio.
    Una volta si diceva: ( se… mia nonna avesse le ruote, sarebbe una bicicletta… ) I tuoi se, mi inducono a rivedere questo vecchio modo di dire rendendolo oltremodo attuale. Il -se- delle
    fosse… non ti dice nulla? Se Berlusconi non fosse mai nato, magari, tu, contro chi ti saresti scagliato con tanta veemenza? Mi ricordi molto da vicino il PD, questo strano agglomerato di sinistroidi coalizzati nel combattere contro i mulini a vento, dimostrando inique capacità politiche. Bada bene; intendo esclusivamente riferirmi ai dirigenti di questo movimento allo sbando, ormai, e non certamente alla base, ai loro votanti, dei quali, ho il massimo rispetto, e non li ritengo ignoranti per aver fatto una scelta differente… Ora, secondo me, dovresti rivedere le tue ragioni, lasciar perdere il passato e adoperarti in modo che, in futuro, non emergano figure cosi dannose per la nostra patria e per la tua intima serenità politica. Auguri, carissimo.

  15. @ Tenna Piero, non hai argomenti per controbattare, per fortuna non fai il giornalista! :-)

    Letta è l’agnello sacrificale di Napolitano e Berlusconi che si sono accordati ancor prima della elezione del Presidente, il resto delle notizia cercala e completala tu, potresti vincere il Pulitzer :-)

  16. A Clesippo Geganio
    Controbattere, significa analizzare una teoria posta con criterio, non contraddire il nulla solo per vantare il proprio acume in pubblico… Riguardo Letta, prima di denigrarlo, preferisco attendere che dimostri incapacità oscene, oppure lodarlo se dimostrerà abilità politiche atte a rimediare gli sfaceli fatti ultimamente dal PD, con Bersani in testa.

    Sarebbe strano se premiassero con il Pulitzer uno che ha frequentato appena le scuole dell’obbligo…, non ti pare?

  17. @ Tenna Piero non disperare, il mondo è pieno di laureati che vantano master ma che non sanno leggere e scrivere, basta vedere intorno ad ogniuno di noi la miriade di illustri ignoranti a partire da chi governa questo Paese da decenni agli ultimi arrivati.

  18. Vedi, caro Geganio, io, intorno a me, a differenza tua, non vedo tanta ignoranza, ma soltanto altre persone con idee e concetti diversi e, comunque… validi come i miei, se sostenuti con onestà intellettuale. E gli — illustri ignoranti — io li indicherei piuttosto con l’appellativo più appropriato: ” delinquenti seriali “, ai quali, giuridicamente, non darei scampo…!
    Vantare una laurea che non si possiede, non è poi così grave come può sembrare, se il millantatore non l’adopera per truffare il prossimo, ma solo per vanagloria…

  19. @ T. Piero,
    sono in parte d’accordo, ma è inconfutabile il fatto che l’Italia e italiani sono (siamo) ridotti alla miseria è per causa della regressione culturale ed etico-morale, ignoranza forse congenita o indotta il risultato non cambia visto che il sistema civile e democratico, sociale, politico, economico e finanziario nel quale viviamo è costruito dagli uomini.
    Un esempio, svolgo un lavoro che mi avvicina spesso ad enti pubblici e istituzionali, al di la di rare eccezioni ho notato tre tipologie di dipendenti, l’ignorante consapevole d’esserlo ma disposto ad apprendere per migliorarsi e migliorare, l’ignorante “delinquente seriale” come dici tu e l’ignorante spesso dirigente in carriera collocato dalla politica, hanno tutti lo stesso denominatore la mancanza di cultura in certi casi anche basilare, più o meno gli italiani si possono dividere nelle stesse tipologie; per esperienza mi rapporto bene e rispetto la prima disposta a dialogare discutere approfondire per risolvere ove possibile migliorare il “sistema” perchè anch’io ignoro molte cose, come vedi caro Tienna Piero quando accuso d’ignoranza molti italiani non intendo offendere denigrare ma per affermare quell’intelligenza in dote a tutti gli esseri umani di comprendere i propri limiti ma con la coscienza ed il dovere di colmarli acculturandosi, che non significa laurearsi ma approfondire tematiche e problemi prima di affrontarli con leggerezza ed approssimazione, la causa di tutti i nostri mali.

  20. A Clesippo Geganio.

    A parer mio, la nostra miseria… non è un fattore di regressione etico-moral-culturale, ma esclusivamente dovuta all’atavica tendenza, del nostro popolo, all’egoismo individuale… egocentrismo che sfora in modo insopportabile nelle persone che hanno alte cariche politico istituzionali o finanziarie.

  21. e ce lo vieni a spiegare TU … SALSICCIOTTO dell’IN-FORMAZIONE (come ebbe a dire Ferrara … APPRENDISTA SCRIBACCHINO) come si diventa … giornalisti … ???!!! per CHI si finisce col lekkare il cu.. … pardon … lavorare … una volta entrati nell’ALBO dei GIORNALISTI … nel retaggio fascista … e di CASTA … da ABOLIRE al più presto … ???!!! Magari è MEGLIO se te lo spiegano i ragazzi/e di PUBBLICO (il TUO VANAGLORIOSO BLUFF … nell’INUTILE e SPOCCHIOSO tentativo di farti magari chiamare … DIRETTORE) … da COLORO che devi ancora FINIRE di PAGARE … per i “gloriosi” 100 GIORNI di AGONIA … editoriale … vero SALSICCIOTTO dell’IN-FORMAZIONE … un pò in quota piddì … un pò a contratto col NANO … un pò a prender finanziamenti (PRIVATI) dai “montezemolini” … la PUTTANA del circuito (ME-R-DIATICO) … si sarebbe detto … in tempi NON sospetti … oggi vi chiamano … “giornalisti” … pensa te …

    http://www.beppegrillo.it/2013/09/luca_telese_limprenditore.html

  22. Il giornale “Pubblico” di Telese non deve chiudere – Io sono una signora che ha
    finanziato Santoro per riaprire Servizio Pubblico ho donato 10+10 = 20 euro in centomila siamo stati.
    Un aiuto temporaneo tanto per non arrendersi in soli tre mesi
    Distinti saluti
    Regonelli Giuseppina cellulare 3701075441 – Savonasi

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