Pubblico

1 Novembre 2012
Colpire e confondere la strategia di Sergio

di LUCA TELESE

Vi prego, non sottovalutate Sergio Marchionne, non accontentatevi di una invettiva caricaturale che dipingendolo come un perfido padrone del vapore, non capisce l’essenza, ancora più grave, di quello che sta accadendo in queste ore con la ritirata della più grande industria nazionale dall’Italia. Non cedete alla tentazione di demonizzare Marchionne, o – al contrario – a quella altrettanto forte in alcune minoranze imprenditoriali allucinate di farlo diventare il martire di un progetto manageriale ardito, o l’eroe di una battaglia di principio combattuta in nome di una idea di modernità. Quello che sta facendo Marchionne, in queste ore, non è un semplice arbitrio, non è solo il capriccio di una manager che si vendica sui suoi dipendenti per lavare l’onta dei suoi insuccessi, ma è anche – ancora una volta – una scaltra manovra diversiva. Quello che l’amministratore delegato della Fiat sta allestendo è una abile gioco illusionistico, una patacca, un trucco sfavillante e maldestro. Ieri, su twitter, la satira anti-Marchionne, per raccontare quello che sta accadendo ha riscritto con amara ironia un adagio proverbiale: «Spezzare una Lancia». Ma se in questi giorni parli con gli imprenditori italiani, con quelli che ci mettono la faccia, e si soldi, nel settore dell’auto, capisci che ormai questa guerra intorno alla Fiat è diventata una questione nazionale. Una piccola grande vergogna per quel governo che solo pochi mesi fa ha detto: «La Fiat fa quello che vuole». Che ha fatto melina quando la Fiat lanciava messaggi di disimpegno inequivocabili. E che adesso tace. Tutte le aziende dell ’indotto, i gioielli industriali che hanno fatto grande la filiera della componentistica dell’auto stanno delocalizzando: chi lascia il Piemonte per andare in Cina, chi sostituisce la Fiat con la Volkswagen o con i grandi marchi dello stile europeo. A bocciare la strategia della «terra bruciata» del numero uno del Lingotto, quindi, non sono le tute blu, ma coloro che hanno consentito alla Fiat di diventare grande. Quelli che hanno capito per primi che Marchionne sta spostando il cuore, la testa, e adesso anche il corpo della Fiat al di là dell’oceano, non sono più le sue controparti sindacali. Sono i suoi migliori clienti di questi anni, quelli che hanno creduto in lui. Gli uomini del centro stile che ha inventato la 500, i quadri dirigenti più intelligenti dell ’azienda, vengono messi di fronte a una scelta draconiana: vai in America o te ne vai a casa? Le vendite crollano, gli impianti italiani perdono commesse, vanno in surplus produttivo, le casse in deroga vengono procrastinate. Ancora una volta Mirafiori, l’impianto simbolo della Fiat, non ottiene l’appalto di nessun modello: produrre la sola Mito, in un impianto così, è come muovere una portaerei per farci atterrare sopra un aeroplanino i carta. Se vuoi comprare una station wagon, oggi – non dico un’auto elettrica o una ibrida, ma una banalissima station wagon! – nella risicata gamma della Fiat non ce la trovi più. I modelli vecchi cadono uno ad uno come foglie, vengono depennati dal listino, ma non vengono sostituiti. I progetti c’era – no: i soldi per avviare le produzioni no. Quando si parla di Sergio Marchionne, dopo quello che sta accadendo intorno alla beffa di queste ore, di fronte allo smantellamento di tutti gli investimenti e di tutte le promesse del progetto faraonico di «Fabbrica Italia», la presa d’atto di una strategia che punta a fare terra bruciata non è più un anatema, ma una constatazione. L’amministratore delegato della Fiat, per mesi si è rifiutato di applicare le sentenze dellamagistratura e le ordinanze dei tribunali, ha provato a fare ostruzionismo. Non ha accettato le ordinanze di reintegro dei lavoratori licenziati camuffando dei provvedimenti discriminatori con un paravento disciplinare: è quello che è accaduto con Barozzino, Lamorte e Pignatelli a Melfi. È quello che è accaduto fino a ieri a Pomigliano. Poi, quando ogni tentativo ostruzionistico nella fabbrica della Panda è venuto meno, Marchionne è passato alla rappresaglia: se mi costringete a riconoscere quei diritti, allora io ne cancellerò altri. E mi affiderò alla speranza che gli operai di Pomigliano, messi uno contro l’altro, si sbranino tra di loro, come bestie. Perché se lo Stato mi obbliga ad obbedire, posso sempre provare a mettere in crisi lo Stato, innescando una piccola guerra civile tra sommersi e salvati. Marchionne sta reinventando un codice di guerra tutto suo, a Pomigliano, e nel resto d’Italia. Un codice di signoraggio medievale, quello del sovrano che pensa dipoter dispone dei corpi e delle anime dei suoi lavoratori, al di sopra delle leggi dello Stato. E soprattuto un codice di guerra. Intervistato da Massimo Mucchetti, il numero uno del Lingotto evocò un film sul nazismo, La scelta di Sophie, pers piegare che lui avrebbe dovuto scegliere tra due inpianti da chiudere, esattamente come la protagonista di quel film – Meryl Streep – doveva scegliere tra i suoi due figli per decidere chi sarebbe finito nel tritacarne del’Olocausto e chi si sarebbe salvato. Quando si racconta questa storia, forse, bisognerebbe ricordare cosa è accaduto in quella fabbrica in questimesi: le  intimidazioni a chinon si arrendeva, gli inviti a stracciare le tessere, la durezza della prova per quelli che – uomini e donne – si sono trovati disarmanti contro chi può decidere se lavori o no. Tra i tanti volti mi viene in mente una storia che abbiamo raccontato, quella di Carmen Abbazzia, una delle donne simbolo della Cgil, una madre che ha tirato su tre figli da sola, con i soldi della cassa integrazione. Ecco, quando Marchionne proverà a spiegarci che il posto di lavoro ai lavoratori che sta licenziando lui se lo è rubato lei, pensate ai 145 operai che come Carmen hanno fatto la fame, ma non hanno accettato di tradire il loro sindacato in cambio diunaelemosina. La lezione del coraggio vale molto di più di quella della rappresaglia.

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4 commenti »

  1. ma quanto lo pagano in tangenti gli americani per mandar in fallimento l’industria italiana?

  2. marchionne: un finanziere,………………..che non capisce nulla di automobili !!!!

  3. Serghio maglionato ha salvato la FIat e mezza industria italiana,
    ma ha salvato un corpo in coma che ora appena comincia a muoversi: che pretendete adesso?

    Sergione ha un modo di fare poco adatto all’italietta gossipara,
    ma ce ne fossero stati di CEO così nei decenni scorsi, Fiat ora sarebbe Volkswagen.

  4. Thanks for sharing your thoughts about luca telese.
    Regards

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