Il Fatto Quotidiano

24 Agosto 2010
Parolacce volant

L’ultimo a usare paroloni roboanti è un insospettabile come Pierferdinando Casini, che ha detto a Umberto Bossi: “I suoi insulti all’Udc? Ridicoli. Lui è un noto trafficante in banche e quote azionarie…”. Forma e contenuto a dir poco sconvolgenti, in bocca a un politico di lungo corso, solitamente ironico e pacato. Così come quella foto rubata in Aula nel giorno del voto di fiducia, che si presta a diventare l’icona dei nuovi tempi. Il deputato Marco Martinelli, ex finiano (rimasto pidiellino), si avventa contro il finiano Di Biagio (rimasto finiano) allargando le mani: “Ti faccio un culo a tarallo”. Risposta, non meno oxfordiana: “E allora che aspetti a uscire?”. Sempre questa estate è arrivato un copioso numero di diti medi (per la precisione tre) esibiti da Umberto Bossi rispettivamente a giornalisti, fotografi, avversari. Sempre il senatùr, un’altra perla, sull’alleato Denis Verdini: “È un democristiano di merda”. Alè. E come dimenticare Giuliano Ferrara, sempre nella conferenza stampa di Verdini, contro una giornalista de l’Unità? “Ma che Paese di merda! Ci facciamo fare la morale da Claudia Fusani”. E che dire di Giorgio Stracquadanio, nella medesima occasione, alla stessa giornalista, per di più in diretta tv? “Dici cazzate, solo cazzate”. Risposta: “Le cazzate le dice lei”…
CASTA E CATASTO –  E così, giorno dopo giorno, la Seconda Repubblica decade nel già difficile rito di passaggio dalla Casta al Catasto. Dispute immobiliari, ingiurie, tentativi di interdizione. Il dibattito politico si tramuta in rissa verbale, a volte fisica, scontro omerico. La trivialità non è più parola dal sen fuggita, ma una nuova lingua ufficiale, uno slang di transizione, su cui dibattono sul Corriere della sera, a metà fra disputa letteraria e polemica, tre personaggi a dir poco disomogenei come Claudio Magris, Daniela Santanchè e ancora Stracquadanio. Il punto di partenza è una definizione decisamente prosaica che la sottosegretaria ha rilasciato in una intervista (proprio con questo giornale): “Cosa penso di Fini? Umanamente è una merda. Dovrebbe dimettersi”. E poi quella del direttore de Il Predellino, organo di battaglia e punta di diamante del berlusconismo d’assalto. Lui, in una locuzione che è diventata già un neologismo, aveva parlato di “trattamento Boffo” (da riservare sempre a Fini). Magris aveva collezionato entrambe le battute per scrivere un duro commento sull’imbarbarimento dello stile: “Volgarità e sconcezze, in questi giorni, arrivano da tutte le parti e da persone che si credono élite, classe dirigente, leader e maestri nell’arte della politica. Nei confronti delle donne le scemenze ingiuriose si scatenano con particolare indecenza, specie da parte di ex partner, e non valgono certo di più dell’insulto che qualsiasi ubriaco può indirizzare a una signora che in quel momento gli passa accanto; anche fra le donne, osserva Magris, peraltro, c’è chi non è da meno nella gara alla scurrilità”. Lo scrittore conclude quasi sarcastico: “La letteratura avrebbe bisogno di un Gadda, l’unico genio in grado di narrare questo formaggio verminoso, di ritrarre quei visi dei, o delle, turpiloquenti che spesso, nella smorfia dell’insulto, rischiano di rivalutare le vecchie teorie di Lombroso sulla fisiognomica”.
MARCUSE-SANTANCHÈ – In passato, quando queste dispute arrivavano sulla stampa, i protagonisti si affrettavano ad attenuare e a smentirle. Invece il deputato del Pdl non apprezza l’editoriale di Magris e fornisce una singolare spiegazione: “Non è per giustificare me stesso che ho scritto questa mia. Ma solo per ricordare a Magris che la politica dell’insulto non è di questa era e non è appannaggio esclusivo di una parte politica”. Anche la sinistra, aggiunge Stracquadanio, usa volgarità: “Ricordo a Magris, senatore progressista dal 1994 al 1996, che proprio il mondo comunista a cui egli è vicino ha per primo inaugurato l’uso dell’insulto come strumento di comunicazione politica popolare”. Meravigliosa anche la lettera di precisazione della Santanchè: “Rivendico la licenza poetica che Magris concede a Dante, Gadda e Benigni. Su questo (e solo su questo) la penso come il filosofo Herbert Marcuse, aggiunge, che sdoganò il turpiloquio politico per privare i capi dell’alone ipocrita di pubblici servitori che hanno a cuore solo gli interessi della comunità”. E ribatte elencando una casistica “di centrosinistra”. Questa: “ Magris dimentica Romano Prodi (vaffanculo in aula a un collega), Bersani (Gelmini rompicoglioni), D’Alema (vai a farti fottere al condirettore del Giornale)”. Mai come la battuta di Silvio Berlusconi sul leader dei finiani: “Bocchino? Pensavo fosse un punto del programma”.

Luca Telese

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