Il Fatto Quotidiano

26 Giugno 2010
Nikemondo

E allora andate adesso a rivedervi, come se fosse stata un profezia, il meraviglioso spot della Nike sui mondiali, il ritratto che purtroppo ci meritiano. Riguardatevelo ora, quel piccolo grande film, in cui in tre minuti si faceva il giro del pianeta, e in venti secondi era raccontata l’Italia, non come la percepiamo noi, ma come la vede il resto del mondo. Cioè l’Italia vera. E’ un’Italia da cliché, ovviamente, un paese in supersintesi. Ma, a ben vedere, una sintesi molto felice: è un paese di donne e donnine, di palcoscenici di panna montata, di cantanti fuori tempo massimo, e campioni celebrati senza merito: “E’ Cannavarooò…./ Il capitanoooò…”. Un’Italia da operetta. Come quella in cui ieri – nella storia reale di questo mondiale – Quagliarella è corso a scalciare con cattiveria il portiere sloveno a terra dentro la sua porta, e subito dopo si è vittimisticamente buttato per terra recitando come un attorucolo: “Mi ha dato dato un pugno! Mi ha dato un pugno!”.
Il concept dello spot, ovvero la trama del cortometraggio preparato dai pubblicitari per il mondiale del Sudafrica era a suo modo semplice. In un’unica, sincretica, partita di stelle, si gioca il destino dei campioni, e si racconta per flash il mondo da cui provengono, i loro paesi. E’ una partita di sliding doors, un cortocircuito di destini eventuali che si incrociano e si influenzano l’un l’altro. In campo, ognuno in rappresentanza di una nazionale, si sfidano Cristiano Ronaldo, Andres Iniesta, Fabio Cannavaro, Didier Drogba, Wayne Rooney, Frank Ribery, Theo Walcott, Ronaldinho, il tennista Roger Federer e la stella dei Lakers Kobe Bryant. E persino il divo dei cartoon, Omer Simpson. Strepitosa la microstoria di Rooney e Ribery, il cuore dello spot. Nel primo scenario che viene raccontato un Rooney attonito che sbaglia il passaggio. Nello spogliatoio rompe lo specchio per la rabbia, nei pub si grida contro di lui, gli adolescenti strappano i suoi poster dalla cameretta. Finisce a vivere in una roulotte, a fare il raccattapalle, grasso e con la barba lunga. Invece, nel secondo scenario è tutto diverso: Rooney ferma Ribery, i neonati delle nursery hanno il cartellino con il suo nome, in una cerimonia solenne, in cattedrale, viene nominato baronetto dalla regina.
Ma il pezzo di racconto che riguardava noi era all’inizio: tutto cominciava con Drogba. Mentre il campione della Costa d’Avorio toccava la palla, con passo possente, avevamo visto tutta l’Africa stringersi intorno a lui. L’ivorese dribllava, e nel suo paese si gioiva: davanti al televisore con lo schermo intermittente di una favela, in una barberia piena di colori, nella piazza infuocata di una bidonville, nella festa corale: tamburi, conghi, bandiere, tifosi vestiti come sciamani. Ma il destino di Droga poteva essere cambiato dalla rincorsa di Cannavaro. Ecco, il capitano azzurro si precipitava come un fulmine verso l’area, recuperava in rovesciata. La scena cambiava, e ci ritrovavamo in un sofisticatissimo studio televisivo. Sembra una cosa a metà strada fra il Festival bar e non è la Rai: adolescenti bionde che urlano “Uahhh”, due veline in sospensione nel vuoto che appese a un filo mimano la rovesciata, e in mezzo al palcoscenico la cosa più bella dello spot. Bobby Solo. Non un sosia, proprio lui. Bobby Solo con uno smoking blue elettrico che indica il pubblico e canta con voce suadente annicinquanta: “C’è Cannavaro…./ Il Capitano…”. Poi due stacchi. Una cucina di una famiglia del sud vagamente sgarrupata in cui una mamma prepara la pasta, e lui – il capitano – tutto sorridente e lieto che si gode il successo. Ebbene, è come se il controfinale che manca allo spot sia stato scritto ieri dai primi piani impietosi del vero Cannavaro. Il capitano che si becca i cartellini gialli, che corre in affanno nel pratone della sconfitta, che si passa la mano sul cranio lucido come se il suo elmo da campione del mondo si fosse incrinato in un punto invisibile. I potenziali vincitori di questo mondiale, secondo la Nike erano Cristiano Ronaldo, celebrato nel suo Portogallo con una statua, e poi Ronaldinho. Il suo dribbling ubriacante viene mimato dai bambini, cliccato su youtube, riprodotto sui campi di basket, trasformato in un balletto nel video di una canzonetta di successo, in un paese che si vive di questa calcistica gioia. Ecco, rivedendolo ieri, questo spot della Nike, veniva un po’ di rabbia per come veniamo percepiti. Polverosi, poveri, inebriati dall’illusione di un successo che non c’è più, taroccati come la quinta di un fondale televisivo. Se fossero furbi, gli uomini dell’opposizione a Berlusconi, dovrebbero smettere di dire fesserie, prendere questi venti secondi di folgorante racconto dell’Italia di plastica e riprodurli ovunque. Quella è la foto dell’Italia immobile, l’Italia in cui mezzo governo tifa Padania, e l’altra metà è inchiodato alla nostalgia di quello che non è più. “Write the future”, recita lo spot della Nike. Noi per ora ci accontentiamo di vivere nell’illusione del passato.

di Luca Telese

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4 commenti »

  1. Bell’articolo (anche perchè finalmente qualcuno cambia la prospettiva).

    P.S: Vedo che condurre un programma in tandem con la Costamagna.In bocca al lupo.

  2. Errata corrige: Vedo che ti accingi a condurre, etc etc

  3. [c’é un piccolo refuso, se lo vuole correggere: il capofamiglia dei Simpson si chiama Homer]

  4. Ma il portiere era sloveno o slovacco?

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