Il Fatto Quotidiano

22 Giugno 2010
Lippi, l’Italia del demerito

Pensateci un attimo, il mondiale come una metafora del nostro paese e come una lezione per la nostra politica (a partire dal centrosinistra). Pensateci solo un secondo: il campionato italiano quest’anno perderà il carisma polemico e sfavillante di Josè Mourinho, l'uomo del respiro cosmopolita e del merito, e si ritroverà ancora una volta, all’ombra del tricolore, la cupezza mediocre e silente di Claudio Lippi, l'uomo del demerito, il profeta del nonnismo e dell'antimeritocrazia.
Fa piacere che dopo il secondo, disastroso pareggio, con la Nuova Zelanda, i giornali finalmente si accorgano che qualcosa a casa azzurri non vada. Forse, pero', si poteva scrivere anche prima. Perche' non sono i risultati, quello che non funziona a lippilandia, ma il metodo. Non va bene che qualcuno teorizzi l'idea che i campioni posano essere lasciati a casa, che vadano premiate le rendite posizione e non il coraggio, che si possa far perno sul blocco storico (ma ormai sarebbe il caso di dire cadaverico) della Juventus e non su quello di chi in campo ha vinto e macinato punti. Se ci pensate, anche la politica italiana, e in particolar modo la sinistra, sono afflitte dalla stessa malattia. Il parlamento dei cooptati cancella i talenti, e il grigiore anticarismatico di Pierluigi Bersani assomiglia molto a quello del cittì, così come il dispotismo crepuscolare di Berlusconi fa apparire come dei giganti gli uomini del suo vecchio governo, rimpiazzati da una pletora di yesmen, frequentatori di cricche e compratori di case a loro insaputa. Ci sono in giro dei talenti, a sinistra, a partire da Vendola per arrivare fino a Renzi, ma sono tutti quelli che si formano contro la committenza, contro le loro classi dirigenti, contro la cooptazione. C’è un leader che ha prodotto pensiero, a destra, ma nel Pdl Gianfranco Fini è murato e trincerato in un sei per cento, che fa assomigliare i suoi uomini a degli eorici vietcong.
Eppure, una nazionale che lascia a casa Balotelli, non si priva solo di un fuoriclasse, ma di un racconto della sua realtà. Una squadra che dice di non aver bisogno di Cassano, nega il valore della fantasia, come cifra del caratere nazionale. Un allenatore che rimanda a casa Cossu, è un presuntuoso che pensa di poter fare a meno di quel serbatoio enorme che è la provincia italiana. Siamo fermi all’oriundismo trasformista e furbetto di Camoranesi (lo straniero che si finge italiano) e non riusciamo a portare in azzurro Supermario, l’italiano vero di seconda generazione, il “negrazzurro” che dice – anche solo con la sua storia – molto più di dieci convegni sull’immigrazione di Fare futuro.
Pensate che cosa rappresenta l’immagine triste di Enrico Letta che candida Pierluigi Bersani a leader centrosinistra. Il sottopanza che indica come principe il suo principale. La negazione del merito che pretende farsi eccellenza. Ci sarebbe bisogno di far esplodere tutte le panchine, in questo paese, quelle della politica, quelle dell’informazione e quelle dello sport. Non arriveremo in finale, credo che sia certo. Ma domani firma Mentana, il giornlaista che veniva tenuto lontano dallo schermo dalla finta concorrenza di Raiset: speriamo almeno che Mentana alla Sette possa fare come Cassano alla Samp: mettere in discussione il monopolio delle vecchie signore della televisione italiana.

di Luca Telese

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4 commenti »

  1. La Nazionale è lo specchio del Paese? Sì può essere. Quattro anni orsono, nella bufera tangentopoli in cui (non lo scordiamo) era coinvolto lo stesso CT e la maggior parte dei titolari, gli “azzurri” ebbero un moto d’orgoglio e nonostante la modesta caratura tecnica e atletica riuscirono a vincere il Mondiale. L’anno dopo il Milan, falcidiato dalla FIGC con una penalizzazione di 8 punti (che però gli risparmio l’ennesima discesa agli inferi della B) riuscì a vincere – di nuovo con un moto d’orgoglio – la sua settima e insperata coppa campioni. Moto d’orgoglio che non c’è più, evidentemente. Arresi alla mediocrità e all’anagrafe: sia la Nazionale dei bolliti sia il Milan (la squadra più vecchia del mondo) ormai abbandonato da Berlusconi alle prese con le beghe familiari, i bilanci societari e soprattutto senza più sogni di gloria da vendere al popolino. Nel frattempo ha trionfato la legione straniera di Moratti alla guida di un allenatore genialoide che, compiuta l’impresa, ha pensato bene di levare le tende. Anche questo è un segnale di declino…

  2. La Nazionale degli inguardabili come ritratto impietoso dello stato di salute del nostro martoriato Paese. Sì, mi sembra un paragone calzante. Mentre sul web impazza la sua parodia musicale (Nur Italien Nicht, cioè vincano tutte fuorché l’Italia), in cui oltre a dileggiare la nostra incorreggibile inclinazione al catenaccio (che del resto fu l’arma segreta per vincere nel 2006), si fa beffe del Belpaese della pizza, della mafia e di Berlusconi (un particolare graziosamente censurato dalle reti di Stato).
    E’ una nazionale per vecchi, sulla quale l’anagrafe verga le sue ragnatele indelebili.
    Del resto dei due clavi tinti che dominano (si fa per dire) la scena politica italiana, è più vecchio Bersani o Berlusconi? Lotta tra titani… Forse Vendola è davvero il Ballottelli della politica italiana ma come lui non viene convocato e se ne resta confinato in panchina…

  3. Se partiamo dal presupposto che la nazionale dovrebbe difendere i colori di una bandiera da appendere al cesso “al cesso signora”, va bene tutto. Se poi vediamo che in quella bandiera vengono avvolti i militari morti, ci si chiede come si possa sentire la povera salma. Forse sarebbe più decoroso usare la bandiera dell’Inter.

  4. Bello l’articolo ma… peccato che poi crolli, contraddicendo e confermando allo stesso tempo il disastro-paese, proprio su Mentana. Ma come, prima si critica l’italietta vecchia e dei culi di pietra e poi si invoca Mentana come rinnovatore? A Telè’ ma che stai a dire? Stiamo parlando del socialistissimo Mentana cocco di Craxi in Rai prima, e di Berlusconi al tg5 poi? Stiamo messi proprio bene!!!!

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