Il Fatto Quotidiano

20 Febbraio 2010
Bersani “viola” e il teorema dell’abat-jour

Dunque adesso Pierluigi Bersani diventa “viola”. Bene benissimo, siamo contenti. Andrà alla manifestazione del No-B-day, annuncia il segretario del Partito Democratico. Il che non può che rallegrare un giornale come “il Fatto” e i suoi lettori (siamo sempre pronti a registrare tempestivamente conversioni e ravvedimenti provvidenziali), ma richiede perlomeno un tentativo di spiegazione. Che cosa separa il Pierluigi “movimentista” di oggi da quello “partitocratico” del dicembre scorso? Cosa vogliono dire le ultime mosse? La visita al festival di Sanremo, quella altrettanto propagandata al Tg4 di Emilio Fede, la riesumazione della foto da scavatore (con capelli) durante l’alluvione di Firenze? Come vanno interpretati tutti questi segnali apparentemente contradditori? Che cosa ha prodotto questa mutazione di rotta rispetto al segretario che a dicembre ripeteva: “Non partecipiamo a manifestazioni che non sono organizzate da noi”.
In mezzo a questi due Bersani c’è un piccolo terremoto politico di cui – fino ad oggi – non sono stati raccontati fino in fondo gli effetti nel Pd: le primarie in Puglia. Fino alla vittoria di Nichi Vendola, infatti il vero dominus del partito era Massimo D’Alema. Il lìder maximo era diventato, come aveva riassunto in una formidabile battuta il governatore della Puglia “la balia” del Pd. Era stato lui ad “eleggere” l’ex ministro dell’industria al congresso, lui ad imbastire la trama dell’alleanza “masochista” con l’Udc (ovvero: dove gli fa comodo Casini si allea con la sinistra, dove non gli fa comodo è contro). Ed era stato l’asse fra D’Alema e un altro dei suoi pupi da balia, Enrico Letta, a produrre il primo passo falso della segreteria. Ovvero la dimenticabile intervista in cui lo stesso Letta apriva al centrodestra con la geniale dichiarazione al Corriere della sera: “Berlusconi ha diritto a difendersi nel processo e dal processo”. Il partito annunciava anche, applaudito dai giornali berlusconiani, la rottura dell’alleanza con Di Pietro. In quei giorni i nuovi vertici del Pd non facevano che cinguettare di un nuovo dialogo sulle riforme con il Pdl, e a spargere sale contro tutto quello che si muoveva nella società civile: basta con l’antiberlusconismo, no alle primarie, imposizioni dall’alto, guerre intestine, caos sulle candidature, guerra totale a Vendola e alla Bonino. In quei giorni Bersani sembrava il contrario del dirigente pragmatico che tutti conoscevano. Assente nelle scelte, silente sulla crisi di Termini Imerese, spesso sostituito dallo stesso D’Alema. L’unico altro leader di rango del Pd era la Bindi, ingiuriata a Ballarò dal premier, e capace di coniare una battuta da t-shrt che sarebbe rimasta nella memoria: “Non sono una donna a sua disposizione”. A dicembre Bersani si trovava in queste condizioni: aveva combattuto la più grande manifestazione di opposizione degli ultimi cinque anni, aveva cercato una intesa con il Pdl nel momento in cui partoriva le sue leggi peggiori, sosteneva le candidature di due polli di batteria in Puglia e nel Lazio contro ogni buonsenso. Persino sul piano dell’immagine sua moglie – una donna autonoma che era sempre stata un ancoraggio solido – aveva fatto un passo falso: una terrificante intervista esclusiva a “Chi” (ma chi glielo aveva fatto fare?) in cui annunciava: “Lascio la farmacia per stare vicino a Pierluigi”. Sembrava, insomma, che si realizzasse il teorema del centrosinistra e della lampadina fulminata. Ogni leader della coalizione, infatti, appena insediato, iniziava a lampeggiare, come certe abat-jour in cui c’è un filo in cortocircuito. Prodi governa, arranca e tu pensi. Meglio Veltroni. Poi Veltroni perde malissimo, nega la sconfitta e tu ti dici: proviamo Franceschini. Poi anche Franceschini sbarella e tutti dicono: a questo punto meglio Bersani. Come per l’abat-jour, però – bzzz, bzzz – il problema non è la lampadina, ma il cortocircuito nell’impianto del filo. Finchè non risolvi quel problema ogni lampadina nuova che metti, ogni leader che si siede su quella sedia, è destinato – bzzz, bzzz – a fulminarsi.
Il punto di svolta, o il fondo, Bersani lo tocca a Bari, tre giorni prima delle primarie. Se non è un black out poco ci manca. Il segretario è appena sbarcato in Puglia per sostenere la candidatura suicida di Francesco Boccia. L’appuntamento è per la sala del Tritone, alle 18.30. Quando Bersani arriva, alle sette, la sala è mezzo vuota. Nicola Latorre è costretto a portarlo al bar, mentre i dirigenti si attaccano ai telefoni a caccia di militanti: “Dove siete?”. In quel discorso Bersani pare ubriaco. Non si capisce se parla della Puglia o dell’Italia quando fa una battuta sembra un boomerang: “Caro Boccia, ti dicono che hai una balia. Pensa che lo dicono anche a me, e la balia è la stessa! Vai ben dritto!”. Tutti capiscono che parla di D’Alema e nessuno ride. Quanto a Boccia, va drittissimo: perde con il 30 contro il 70, avendo tutto l’apparato dalla sua parte. Ma le sconfitte qualcosa insegnano. Quando pare che la sua segreteria sia definitivamente fulminata, Bersani ha uno scatto di reni. La Puglia diventa il passaggio di emancipazione dalla “balia”. Tant’è vero che poco dopo dirà di D’Alema: “Il suo principale pregio è che mette sempre la faccia. Il suo principale difetto è che ce la mette anche troppo”. E’ un addio.
Subito dopo il Pd mostra qualche segnale di resistenza alla sirena di Casini. Grazie a Nicola Zingaretti si fa quadrato dietro la Bonino invece di candidare qualche funzionarietto, e subito dopo – fatto incredibile – si sottoscrive un’alleanza con Tonino Di Pietro. “Qualunque cosa accada – annuncia l’ex pm raggiante al congresso – l’asse tra me e Bersani non è in discussione”. Senza la balia Pierluigi ritrova una leggerezza che pareva aver perso. Questa settimana era a Termini Imerese, con la maschera di Marchionne cornuto tra le mani. Ieri diceva: "Vado a Sanremo – spiegava a La Repubblica – perché mi piace la musica. Il rock, la lirica, persino i canti di montagna. Perché stupisce che un leader del Pd vada al Festival o da Emilio Fede? Per allargare la coperta dobbiamo prima allargare la testa". Allargare la coperta vuol dire pensarsi come leader unificatore e non prevaricatore. Ed è per questo che ora Bersani può dialogare anche con il Popolo viola senza rischio di essere fischiato. Eletto per rompere a sinistra e per inseguire le solite riforme che non si fanno, il Bersani senza balia può ricostruire una alleanza plurale e vincente. Se son viole fioriranno. Se cambia idea di nuovo – bzzz, bzzz – dopo le regionali bisogna buttare l’abat-jour.

Luca Telese

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5 commenti »

  1. @salsicciottodell’informazionepreconfeZZionatafilopiddì&oggianche ADP(poistaremoavedere) .. alia luca telese

    ma sei proprio convinto delle minkiate ke vai scrivendo? o è il successo(fai più share di Barbareschi .. capirai)di Tetris che ti fà montare la testa? sei quasi convinto di essere un giornalista .. ammettilo dai!!

    PS:quand’è che lasci il Fatto Quotidiano adesso che sei SEMPRE in tv .. dai che mi ci vorrei abbonare? Grazie.

  2. Marco B., devi essere davvero messo male se vieni qui ogni volta a scrivere le stesse cose. Evidentemente ti diverti così. Comunque io ti do un consiglio spassionato: fatti curare.

  3. D’accordo. Però San Remo me lo sarei risparmiato.

  4. Ho già scritto anche sula drmmatica esibizione a Sanremo. Quanto al nostro simpatico citrullino marco, dovrai rinunciare all’abbonamento. Per fortuna ne abbiamo altri 444mila meno schizzinosi di te….

  5. @Antonio
    si sà che chi dà buoni consigli lo fà perchè non può più dare il cattivo esempio …

    @salsicciottodell’informazionefilopiddìsalvofareunpistolottosubitodopo(alias luca telese)
    bella la comparsata di bersanetor a san scemo .. vale quasi l’appoggio di di pietro a de luca .. ma tu continua pure a ritenerti un giornalista ..

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